Thomas Arslan, cruda magia dello schermo
Moscow Mule Il regista appartiene alla cosiddetta «Scuola di Berlino» di metà anni Novanta: suoi film nel catalogo Mubi
Moscow Mule Il regista appartiene alla cosiddetta «Scuola di Berlino» di metà anni Novanta: suoi film nel catalogo Mubi
Il catalogo tedesco di Mubi propone una piccola (e parziale) rassegna dei lavori di Thomas Arslan, regista turco-tedesco, esponente della cosiddetta «Scuola di Berlino» di metà anni Novanta. Rispetto ai suoi «compagni di corso» come Christian Petzold e Angela Schanelec, Arslan aggiunge alla questione del cinema tedesco contemporaneo la sua specifica identità tra due culture. Restando fedele e appassionato a storie dalla narrativa disossata, ispirate alle sospensioni temporali di Pialat, Akerman, Bresson, Thomas Arslan segue la propria traiettoria. I suoi ragazzi di origine turca, solo apparentemente meno in conflitto rispetto a quelli di Fatih Akin, sono i protagonisti di «Brothers and Sisters» (1997), «Dealer» (1999), «A Fine Day» (2001), una «trilogia berlinese» che ruota attorno al quartiere di Kreuzberg. Nel primo tre adolescenti, figli di una madre tedesca e un padre turco, vivono attriti fuori e dentro il ménage familiare, in un ossimoro culturale che non sa quanto essere permissivo e che talvolta rimprovera loro perfino di non essere completamente turchi. La rarefatta atmosfera agrodolce torna nel successivo lungometraggio «Dealer» dove uno spacciatore di mezza tacca, Can, si arrabatta per dare una vita dignitosa alla compagna e alla figlia, senza mai riuscire a sfilarsi da un destino che non è così segnato come lui crede e che gli offre, comunque, una alternativa. Se il primo film è un coming of age, il secondo segue le orme di un poliziesco esistenziale, con la presenza magnetica del compianto attore Birol Ünel.
«A Fine Day» è una storia d’amore, tra impossibilità e vie di fuga, con un’eco al romanticismo di Rohmer calato, naturalmente, in una realtà geografica e sociale diversa. Arslan utilizza spesso gli stessi attori, anche a distanza di anni, rendendo concreto il lungo racconto di formazione che abbraccia parte della sua produzione. Non si attanaglia nei cliché dei generi e, leggerissimo, racconta storie semplici dense di complessità, dove la crudezza del vivere è scardinata dalla luce naturale degli esterni, da una passeggiata al parco, dalla Coca-Cola e dalla musica rap o metal. Una sensibilità autoriale che appartiene al regista già dal suo primo lungometraggio «Turn Down The Music» (1994), ribellione giovanile ambientata nella sua Essen, ed è presente anche nel documentario «From Far Away» (2006) un personale e antigiornalistico reportage di viaggio lungo la Turchia, da Istanbul fino a sud, al confine iraniano. Le impressioni quotidiane sono lo scheletro del suo cinema e restano tali anche quando non racconta di turchi di seconda generazione. «Vacation» (2007) è uno sguardo distaccato ma senza sconti su una famiglia tedesca in vacanza. L’idillio della natura, delle acque lacustri, dei pomeriggi oziosi non seppelliscono rancori e segreti, i quali, tuttavia, non potrebbero esistere senza lo scenario di una pace bucolica.
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