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«The Turner Diaries», il colore della reazione

«The Turner Diaries», il colore della reazione

Pagine Il libretto nero dei neonazisti viene riproposto in Italia: un racconto di fantascienza piatto e infarcito di violenza razzista

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 19 giugno 2021

Lunedì 22 marzo pomeriggio. Parcheggio di un supermercato. Boulder, Colorado, Usa. Un uomo all’improvviso inizia a sparare uccidendo almeno dieci persone, incluso il primo poliziotto ad intervenire, prima di essere fermato. Questo (ennesimo) episodio di sparatoria sulla folla avviene in un luogo a poco più di 54 km dalla Columbine High School, teatro della prima e forse più famosa strage di massa americana all’interno di un edificio scolastico. E riporta in auge il dibattito sulla libera vendita delle armi negli Stati Uniti. Ovviamente scatenando i suprematisti bianchi di fede trumpiana che sosterranno il diritto inviolabile a possedere e a portare armi. E che magari sventoleranno il loro «libretto rosso»: The Turner Diaries. Già durante l’assalto a Capitol Hill dello scorso 6 gennaio diversi commentatori hanno citato questo libro tra le principali fonti ispiratrici dei nazionalisti estremisti bianchi, compreso Timothy McVeight, l’attentatore di Oklahoma City. Trascurando per lo più di menzionare che il libro è disponibile anche in traduzione italiana. Scelta consapevole? Come quella di Amazon e di Archive.org che hanno rimosso le edizioni (in inglese) del testo presenti nei loro database?

In Italia il libro è stato pubblicato nel 2014 da Bietti col titolo La Seconda Guerra Civile Americana e sarà presente da fine aprile in una nuova edizione «paperback» con l’aggiunta esplicita nel sottotitolo: I Diari di Turner. Il curatore della collana ed il traduttore affermano senza mezzi termini che di un libro del genere se ne poteva fare a meno e che l’interesse (e la relativa proposta editoriale) rispondono esclusivamente ad esigenze di analisi sociologica e storiografica.

Ma cos’è, dunque, The Turner Diaries? Formalmente è un romanzo di fantascienza, pubblicato a puntate tra il 1975 e il 1978 con lo pseudonimo Andrew Macdonald da William Luther Pierce sulla rivista Attack!, organo della formazione politica di ultradestra National Alliance che Pierce stesso aveva fondato e che portò ad espandersi fino alla sua morte avvenuta nel 2002. Vi s’immagina che agli inizi degli anni ’90 la messa al bando delle armi da fuoco provochi la ribellione dei bianchi che si vedono disarmati di fronte ai soprusi economico-finanziari degli ebrei e sessuali dei neri.

La prosa è piatta e priva di pathos, a meno che vi eccitiate leggendo del resoconto di una bomba che esplode in un edificio governativo uccidendo e ferendo centinaia di persone o dell’impiccagione di una ragazza bianca resasi colpevole di avere rapporti sessuali coi «negri» (termine sistematicamente utilizzato da Pierce).
La storia si conclude con una palingenesi nucleare dal cui fuoco distruttore in primis di Israele (considerato da Pierce molto più pericoloso dell’Unione Sovietica) e poi di tutti quanti non siano bianchi (e fieri di esserlo) sorge una nuova società abitata esclusivamente dalla razza ariana (dolendosi Pierce che gli Stati Uniti non si siano alleati con la Germania nazista).

Cosa fare di un libro del genere? Bandirlo, cancellarlo dalla disponibilità di chiunque, inavvertitamente leggendolo, potrebbe riuscirne schifato? Oppure tradurlo e pubblicarlo? Metterlo a disposizione negli scaffali delle biblioteche, analogiche o digitali? Addirittura essere proposto alla lettura ed alla discussione nelle scuole, nei gruppi di lettura, ovunque si possa fare cultura con i libri? Perché pur essendo un rivoltante pugno nello stomaco, è considerato fondamentale da razzisti, suprematisti, nazionalisti che sempre più orgogliosamente rialzano la testa nel nuovo millennio. E la soluzione migliore probabilmente non è nascondere, rimuovere testi come questo, ma piuttosto scoperchiarli rivoltando il verminaio che nascondono alla luce del sole, cosicché non possa prosperare nell’oscurità ed emergere solo quando è troppo grande per porvi rimedio. Meglio: andrebbe letto in parallelo con qualcosa come la trilogia Eclipse di John Shirley.

Questo non secondario capolavoro del cyberpunk parte quasi dalle stesse premesse di Macdonald/Pierce: una ditta privata di cybersicurezza (la cui ragione sociale, Second Alliance, rimanda sia alla National Alliance pierceana sia alle camice brune naziste), contractor per il governo nel teatro europeo dove l’Unione Sovietica ha iniziato un’annessione dei territori della Cortina di Ferro, utilizza il supporto dei social network e della fede religiosa per scalare il potere politico imponendo sia negli Stati Uniti sia negli stati resi fantoccio dell’Europa una dittatura razzista progromizzando neri, islamici ed ebrei. A differenza che nel romanzo di Pierce/Macdonald, nella trilogia shirleyana la resistenza, nonostante l’inferiorità militare, riesce alla fine ad avere la meglio. Uno dei simboli più forti e coinvolgenti è la canzone di un rocker sparata a tutti decibel da sopra l’Arco di Trionfo a Parigi per permettere alla sua squadra di sfuggire al letale accerchiamento da parte della SA. Per questo in America la trilogia è stata ripubblicata col titolo A Song Called Youth, mentre in Italia è recuperabile solo in biblioteca o tra i collezionisti di Urania (n. 1255, 1276 e 1290). Di musica invece (e in generale di arte) nel monocolore mondo nuovo immaginato da Pierce/Macdonald non ce n’è traccia. E questo, già da solo, dovrebbe far riflettere.

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