Visioni

The Strangers, paura e razzismo nell’opera che racconta il presente

Una scena tratta da «The Strangers» foto di Sandra ThenUna scena tratta da «The Strangers» – foto di Sandra Then

A teatro Una vicenda reale fa da sfondo allo spettacolo scritto da Frank Pesci e presentato in prima a Colonia

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 7 ottobre 2023

Una piccola folla si raduna minacciosa, urla slogan, distribuisce volantini al pubblico. Non sono le immagini dei notiziari, con l’ennesima manifestazione contro i migranti in qualche città d’Europa o degli Stati uniti. I volantini ci riportano infatti alla New Orleans di fine Ottocento, anche se la tensione e la violenza hanno le stesse matrici e vibrano delle paure e dell’odio di oggi. «Gli emigrati siciliani portano la loro vendetta dal vecchio mondo!». Con questo grido inizia The Strangers, quinta opera di Frank Pesci, compositore americano di ascendenze italiane, presentata in prima assoluta dall’Opera di Colonia. Pesci, che da anni vive a Colonia, ha tenuto per vent’anni nel cassetto una storia di violenze e linciaggio di immigrati siciliani realmente avvenuta a New Orleans; sullo sfondo dello scontro fra le due comunità di residenti di origine irlandese e dei nuovi venuti italiani, l’omicidio di un poliziotto fa deflagrare la rabbia contro i siciliani, accusati di portare traffici e violenze mafiose.

L’autore mette in scena lo scontro fra le due comunità italiane e irlandesi nella New Orleans di fine Ottocento

NE FARÀ le spese Emmanuele Polizzi, assolto dal giudice ma non dalla folla, che lo strappa alla prigione e lo uccide. Un racconto terribile e lineare nel libretto di Andrew Altenbach, che non addossa colpe ma lascia al pubblico la valutazione sugli eventi e sulla somiglianza con l’oggi delle parole d’ordine razziste, dei soprusi della polizia, dello strazio delle madri e delle mogli, ultimo anello debole nella catena violenta. Allestita nella Sala Tre dello Statenhaus, il padiglione fieristico che l’Opera di Colonia abbandonerà la prossima stagione per tornare, dopo un lungo restauro, nel teatro, The Strangers dispone il pubblico in una platea circolare intorno all’orchestra. Nell’anello centrale fra pubblico e musicisti la regia di Maria Lamont, scene e costumi sono di Luis F. Carvalho, sposta continuamente i protagonisti su piattaforme mobili, ricreando di volta in volta le case dei Polizzi e dei Costa, la stazione di polizia, l’ospedale, il cimitero, la prigione, la strada, con un effetto da montaggio cinematografico ingegnoso quanto agile. Anche la musica di Pesci si struttura nelle otto scene dell’opera come montaggio fra influenze diverse, volutamente incrociate e sovrapposte ma mai davvero fuse in un unico idioma, con le asperità dei contrasti in evidenza: al piccolo gruppo di archi si aggiungono percussioni, banjo, pianoforte e una nutrita band di ottoni jazz. Il fermento delle nuove culture musicali, dalle influenze afroamericane a quelle del canto italiano, si scontra con la musica della tradizione religiosa cattolica, che si apre il campo nel lirismo composto dell’Ave Maria, cantata dalla moglie del poliziotto Hennessy ( Regina Richter e Miljenko Turk) e al Dies ire che deflagra al termine del suo funerale nella scena sesta. Il canto italiano emerge nelle perorazioni di zia Francesca Costa, Adriana Bastidas-Gamboa e nel duetto di vaghe reminiscenze veriste fra Iana Costa e Emmanuele Polizzi (Emily Hindrichs e John Euzenroeder ).

LA MASSICCIA densità sonica del tessuto orchestrale, dipanato con precisione da Harry Ogg, obbligava spesso gli interpreti, citiamo anche Martin Koch, capo della fazione ‘law and order’ e David Howes, ispettore di polizia, a un declamato a tratti stentoreo e monocorde. Tuttavia sia la sostanziale riuscita dell’opera – in scena fino al 15 ottobre – ribadisce anche la bontà delle soluzioni che a Colonia hanno sperimentato nell’uso provvisorio – durato anni – delle tre sale del padiglione fieristico. La sera prima, nella grande sala Uno andava infatti in scena la Donna senz’ombra di Strauss, la cui tenuta pressoché perfetta ne ha confermato la caratura musicale del direttore Marc Albrecht. Nonostante l’orchestra si trovasse al lato della gigante montagna bianca a gradoni creata da Joannes Leiaker, Albrecht ha concertato alla perfezione i passaggi d’insieme, i cori e i grandi appuntamenti solistici, le arie dell’Imperatrice e dell’imperatore, Daniela Köhler e Aj Gluckert, e il duetto Barak e Tintora, l’ottimo Jordan Shanahan e la vibrante Lise Lindstrom. Accanto alla Amme di Irmgard Vilsmaier spiccava la limpida voce del falco della giovane Giulia Montanari.

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