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«The Sound of Free Speech», dentro al punk politico dei Crass

«The Sound of Free Speech», dentro al punk politico dei CrassI Crass dal vivo in «The Sound of Free Speech»

Cinema Brandon Spivey racconta il suo documentario sulla storica band inglese, lo presenterà stasera al Forte Prenestino di Roma e domani all'Asilo di Napoli

Pubblicato circa 5 ore faEdizione del 18 ottobre 2024

«They’ll use you as a target for demands and for advice, when you don’t want to hear it they’ll say you’re full of vice. Do they owe us a living? Of course they do». Le strofe di Do they owe us a living? accompagnate da batteria e basso dritti, che non danno tregua, urlano al mondo il ritratto di una società schiacciata dal capitalismo e dall’omologazione violenta di tutto ciò che devia dalla norma. Su un orizzonte grigio di rocce aguzze e cielo in dissolvenza, un uomo sventola un’enorme bandiera bianca col logo nero di due serpenti stilizzati e una croce, al centro un nome: Crass. Inizia così Crass: The Sound of Free Speech – The Story of Reality Asylum, particolarissimo documentario di Brandon Spivey prodotto da Class and Culture Films (produzione indipendente con la partecipazione di una crew internazionale, da Durham, Uk, a Bruxelles a Berlino, a Genova, Torino) che racconta la storia del collettivo inglese attivo dal ’77 all’84 che ha ispirato la scena punk musicale europea. Premio del pubblico al Soundwatch Music Festival di Berlino, selezionato all’Unerhort Music Film Festival di Amburgo e al Seeyousound di Torino, torna in Italia per due appuntamenti, a Roma (18 ottobre, Forte Prenestino h 21) e Napoli (19 ottobre, Asilo Filangieri h 20, entrambe le proiezioni accompagnate dalla presenza in sala del regista).

La narrazione vede un alternarsi di interviste ai membri del gruppo e inediti esperimenti di collage video musicali tra pezzi dei Crass e footage d’epoca. Il punto di partenza è Reality Asylum, testo/ manifesto politico ed estetico del collettivo ad opera del batterista, ideatore e co-fondatore Penny Rimbaud, da cui fu estratta la prima traccia cantata da Eve Libertine di The Feeding of the Five Thousands, primo album della band. Il brano, che il regista definisce come «uno dei più esplosivi e sconvolgenti della storia della musica», fu censurato perché ritenuto blasfemo.

SIAMO ALLA FINE degli anni ’70, l’Inghilterra è attraversata da scioperi contro il neo liberismo della Tatcher e la violenza xenofoba del Fronte Nazionale, mentre infiammano gli scontri tra Irlanda del Nord e del Sud. Gli attacchi radicali dei Crass a ogni singolo aspetto del mondo in cui sono nati e cresciuti, con un carattere fortemente anti militarista, anti clericale e femminista, hanno un effetto dirompente sui giovani che ascoltano e comprano massivamente i loro lp, venduti a soli 45 penny. Spivey, che ha frequentato la scena punk di Manchester fin dagli anni ’70 e ha visto i Crass esibirsi nel 1994, era uno di questi. Operaio edile, «fieramente appartenente alla working class», Spivey è produttore musicale e curatore di audio documentari per le radio indipendenti inglesi: «Passare al video è stato uno step naturale. Ho iniziato con le interviste ai membri del gruppo, non m’interessava l’idea di celebrarli come delle rock star, ma fare un film che partisse da Reality Asylum per mettere in evidenza la potenza creativa, artistica e politica di questo gruppo che ha rotto ogni barriera politica e sociale, rivolgendosi direttamente alla working class da cui proveniva».

PREGIO del documentario, l’inquadrare il percorso dei Crass in un contesto politico e culturale preciso e il loro essere iniziatori della pratica del D.I.Y., do it yourself, ovvero l’autogestione e l’autoproduzione svincolata dal sistema alla base del punk: la storia dei Crass coincide con quella della Dial house, una piccola comune di hippies nelle campagne dell’Essex, dove Penny Rimbaud e compagni producevano letteralmente a mano i loro dischi. Altro elemento che il lavoro, denso, stratificato, iper sperimentale nell’accostamento di video e musica, mette in luce è la natura fortemente performativa del gruppo: i Crass furono tra i primi in assoluto a innestare inserti di video proiezioni durante i loro concerti che prevedevano anche interventi di spoken word e slam poetry.

«La loro arte continua sulla scia del dadaismo del periodo della Repubblica di Weimar. Qualcuno dice che i Crass hanno inventato la sottocultura, la verità è che s’inseriscono nell’Avanguardia bohémien inglese e nel grande movimento di squatting e hippies che nacque in Inghilterra dopo la Seconda guerra mondiale. Per questo era importante collocare storicamente il gruppo». Un film sull’arte, e sull’arte di classe: «Su come le persone appartenenti alla working class hanno scoperto l’arte e l’hanno resa accessibile. In Inghilterra solo il tre per cento delle persone della working class fa arte o è nell’industria del cinema. Sono un filmmaker operaio, celebro l’importanza sacrosanta di essere indipendenti. Non voglio compromessi. Senza il “free speech”, da cui prende il titolo il documentario, oggi non saremmo qui».

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