Nel grande cortile dello Scugnizzo Liberato cala il silenzio quando, sotto la sola luce della luna, una donna si siede a un pianoforte a coda e inizia a suonare. Siamo nel quartiere Montesanto, cuore di Napoli. Questo centro sociale, occupato nel 2016 nel nome di quegli «scugnizzi» che da qui presero parte alle Quattro Giornate, per anni è stato un carcere minorile. Eduardo ci fece costruire un teatro che ancora oggi porta il suo nome.
La Sonata al chiaro di luna di Beethoven è l’incipit quasi mistico del Prometeo, ultima performance a cui Adriano Bostik Casale stava lavorando prima di andarsene lo scorso settembre. «Il piano era tutto, poteva anche esserci solo quello. È lo strumento di Bostik e il mio preferito da quando ero bambina», dice Lucia Vitrone, co-fondatrice dei Contropotere, band attiva dal 1985 al 1994, per metà partenopea, per metà veneta che ha fatto la storia del punk hardcore in Italia. Lucia ha voluto raccogliere il testimone di questa eredità del Prometeo, presentato lo scorso 27 maggio durante il «Bsk party» (prossima tappa oggi a Roma, Forte Prenestino).

Lucia Vitrone
Facevamo tutto noi, dalla produzione alla distribuzione. Questo ci permetteva di essere svincolati dalle logiche di mercatoUn memorial collettivo e multidisciplinare, pensato insieme ai compagni di sempre dopo la scomparsa di quello che per tutti era Bostik: pirata anarchico, sperimentatore dell’audiovisivo, tra i protagonisti della scena underground italiana degli anni Novanta e 2000, passando dai primi centri sociali occupati, agli happening della nascente scena cyborg e rave. Da qui il titolo della serata The power of Bostik: in nome di quella sua peculiarità di fare da carismatico «collante» tra persone, pratiche, realtà, linguaggi, luoghi.

Una scena da «Prometeo», foto di Francesca De Paolis

LA PERFORMANCE è stata il culmine di una serata densa, a tratti memorabile, iniziata con la presentazione de L’edificio occupato, libro scritto e autoprodotto da Bostik nel 2016 (ristampato per l’occasione), in cui l’artista racconta la nascita del Tien’A’ment (1989-1996), primo centro sociale occupato di Napoli: luogo di arte e autoproduzione, laboratorio politico e sociale che ha aperto la strada a molte delle successive esperienze di controcultura in città. A seguire, cena sociale, diversi dj set di amici venuti anche da lontano e il Prometeo. Un evento corale che ha abitato ogni luogo dell’ex carcere, con proiezioni e materiale d’archivio, raccolto in questi mesi dopo una chiamata pubblica: foto, video, fanzine, manifesti, articoli di giornale, persino lettere, provenienti da ogni luogo del mondo, indirizzate alla mitica «factory» del quartiere Stella, appartamento/ comune dove i Contropotere vivevano e lavoravano insieme.
«America, Brasile, Giappone. Loro ci scrivevano, io mandavo il materiale. Avvolgevo i vinili negli scatoli della pizza e li spedivo, assieme alle fanzine. Facevamo tutto noi, dalla produzione alla distribuzione. Questo ci permetteva di essere svincolati dalle logiche di mercato», racconta Lucia Vitrone durante la presentazione del libro, davanti un pubblico transgenerazionale di compagni, nostalgici, reduci, misti a giovanissimi nuovi punk che ancora oggi si riconoscono in quel sacrosanto principio di autodeterminazione del «do it yourself». Fortunati ad assistere al Prometeo: mezzora di teatro «totale», tra echi di Grotowski e Living Theatre, tra videoproiezioni, suoni e voci campionate, l’incanto del piano della maestra Gabriella Olino, da sempre vicina al gruppo.

IN MEZZO, i corpi dei performer con cui Vitrone ha condotto un laboratorio nello Scugnizzo. «È come se si fosse chiuso un cerchio, passando attraverso tutto quello che è stata la mia esperienza, la nostra, quella di Bostik. Alcuni brani dei Contropotere sono stati messi a servizio della storia. Urizen, Moto perpetuo che parla dell’automazione dell’uomo, Tempesta magnetica che si trova nell’ultimo lavoro Cyborg 100% che segna la svolta elettronica. Quando ci siamo incontrati, io venivo dal teatro, Bostik era diplomato in pianoforte e campionava i suoni con i primissimi sequencer. Le nostre esibizioni all’inizio erano delle performance. In questo Prometeo c’è tutto. C’è Neiwiller, a cui sono molto legata, e ci sono frammenti di USP, Uniformità Sociale Precostituita, una performance nata dal Seme della devianza, il nostro secondo disco in cui ci stacchiamo dallo standard, incontriamo le macchine elettroniche e andiamo a “creare l’assurdo”, con brani di 16 minuti progressivi. I nostri concerti si chiudevano con un’azione. Flex, maschere anti gas e tute bianche, rincorrevamo nel pubblico un «baco» sfuggito alla nostra «’macchina della clonazione’».
Ed è Vitrone, accompagnata dal piano della eclettica Olino, a chiudere questo cerchio mistico, con la lettura scenica del testo di Anima mundi, il «testamento politico», registrato con Bostik qualche mese prima che se ne andasse. «’Avremo cura di realizzare tutto ciò che l’ossessione della realtà ha dichiarato assurdo’ era il nostro motto. Per me questa sera è stato (di nuovo) così».