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«The Nickel Boys», il razzismo nello sguardo di un ragazzo

«The Nickel Boys», il razzismo nello sguardo di un ragazzoUna scena da The Nickel Boys

Cinema Il film di RaMell Ross ha inaugurato il New York Film Festival, la storia della Black America e del Sud. Il regista ha adattato il romanzo di Colson Whitehead ispirato agli abusi criminali, soprattutto sui neri, nella Dozier School

Pubblicato circa 7 ore faEdizione del 4 ottobre 2024

Uno dei rituali dell’autunno newyorkese, e il segno dell’inizio della nuova stagione cinema, il New York Film Festival ha aperto venerdì sera la sua sessantaduesima edizione. Da un lineup che include parecchi dei migliori film visti nei principali festival internazionali, a partire da Berlino, più alcune belle sorprese inedite – come la serie di Julia Lotkev My Undesirable Friends, di cui parleremo a parte – e alcune sezioni parallele dedicate, per esempio, ai restauri e al cinema sperimentale, il direttore Dennis Lim e il suo comitato di selezione hanno fatto una scelta molto centrata per la serata d’inaugurazione.

Il film è The Nickel Boys, l’adattamento dall’omonimo romanzo premio Pulitzer di Colson Whitehead, diretto da RaMell Ross, regista del documentario Hale County This Morning, This Evening (2018) – un lavoro di grande bellezza visiva e straordinario potere dello sguardo, nella sua scommessa di «riscrivere» il Sud americano (attraverso le immagini quotidiane di una contea povera dall’Alabama, formata alla fine della guerra civile) secondo una narrazione poetico/politica completamente originale.

È PROPRIO quella limpida volontà di riscrittura della dolorosa storia della Black America, che animava il documentario, che ha portato Ross all’attenzione di Dede Gardner e Jeremy Kleiner, la cui compagnia, Plan B (fondata da Brad Pitt), aveva prodotto 12 Years a Slave (12 anni schiavo, 2013) e Moonlight (2016) e che, come ha raccontato il regista nell’incontro che ha seguito la proiezione stampa del film, li ha convinti ad affidargli l’adattamento del testo di Whitehead prima ancora che arrivasse in libreria. Uscito nel 2019, e ambientato in un arco di tempo tra il 2010 e gli anni Sessanta, il romanzo è ispirato alla storia della Dozier School, un riformatorio delle Florida che operò per oltre cent’anni e i cui abusi criminali sui ragazzi (in gran parte neri) vennero alla luce quando un gruppo di studenti di archeologia scoprirono una tomba comune adiacente alla proprietà.
Ross – che è anche artista, scrittore e docente alla Brown University – si confronta per la prima volta con la fiction affiancato alla sceneggiatura da Joslyn Barnes, produttrice, tra gli altri, di Zama, Cemetery Of Splendor, Bamako e dell’ultimo film di Athina Tsangari, Harvest, presentato in concorso alla Mostra Venezia e adesso anche al festival di New York.

«Il libro è scritto in modo conciso, austero. È quello che mi ha permesso di immaginarmi nei panni del protagonista, Elwood. Ed è venuta da lì l’idea di lavorare sul suo punto di vista». Così Ross ha spiegato l’origine del principio guida del suo film, che è interamente girato attraverso lo sguardo del suo protagonista, un ragazzo afroamericano nell’America di Jim Crow, cresciuto da una nonna amorevole in un senso di giustezza e speranza ispirati dall’alba del movimento per i diritti civili (siamo nel 1962) evocata dalla voce di Martin Luther King che gli arriva dal grammofono. Elwood è timido (lo «viviamo» nel suo sguardo, spesso rivolto verso il basso), schivo. È anche uno studente di valore e, su raccomandazione di un insegnante, viene ammesso a un istituto tecnico dello stato. Ma, sulla strada di quella scuola, pieno di ottimismo, Elwood accetta il passaggio sbagliato (il suo sguardo titubante si interroga sul dettaglio dei mocassini lucidi e sull’orologio d’oro del guidatore dell’auto) e la promessa del suo futuro si trasformano in un incubo.

INVECE dell’istituto tecnico è la Nickel School, un carcere per minorenni gestito da uomini crudeli. Guidati dagli occhi di Elwood, siamo anche noi in quella prigione, e, a poco a poco, dentro alle emozioni del ragazzo (magnifici l’incontro con quello che diventerà il suo amico, Spencer, e le visite della nonna). La scelta di girare tutto dal suo punto di vista, di immergerci nella mente e nel corpo di Elwood è l’espediente che rende possibile quella riscrittura – scevra dei passaggi drammatici più ovvi, delle immagini del trauma che ormai non ci traumatizzano più – che Ross aveva già applicato a Hale County.
L’effetto non è snuff, come si potrebbe immaginare, ma un’esperienza commovente quanto rivelatoria. Come una prima volta. The Nickel Boys è un film molto meno facilmente assimilabile del sadismo arty di Steve McQueen o all’intimismo minimalista di Barry Jenkins. La sua rinuncia all’oggettivizzazione fa sì che bisogna abbandonarvici. E nulla ti prepara al suo finale. È un film folgorante.

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