Visioni

The Libertines e l’elogio della decadenza albionica

The Libertines e l’elogio della decadenza albionicaLibertines – foto di Ed Cooke

Note sparse "All Quiet On The Eastern Esplanade" si inserisce nel solco dell'ultima ondata brit-rock, riportando la band ai suoi massimi livelli

Pubblicato 7 mesi faEdizione del 10 aprile 2024

Il gusto di infrangere il silenzio si poteva misurare in decibel e in pinte, durante il concerto al Cavern Club di fine gennaio. Si era all’inizio del loro Albion Tour, itinerario di piccole venue per testare sul campo lo stato di salute dell’audience, della band e del rock britannico tout court; di nuovo vicini, Pete Doherty e Carl Barât avevano stabilito il tono della serata con Run Run Run, antipasto del nuovo All Quiet On The Eastern Esplanade (Casablanca/Republic Records), il cui titolo omaggia la strada sul lungomare di Margate dove la band ha edificato le proprie Albion Rooms, albergo e studio di registrazione con vista sul Mare del Nord. Neppure cinquantenni, i Libertines sentono di dover già esorcizzare lo scorrere del tempo: «Faster than the past!» urlano all’unisono i due frontmen in una dichiarazione d’intenti perseguita in buona parte dell’album, per lo meno nei pezzi con cui il ritrovato quartetto si impegna a replicare l’impatto live (si ascoltino la rollingstoniana Mustang, Have A Friend — in cui i Clash sembrano incrociare i discorsi sulla libertà di parola — e Oh Shit, interpretata da Barât con lo stesso piglio del singolo apripista).

Il culmine introspettivo si raggiunge con l’ultima traccia, “Songs They Never Play On The Radio”

MA QUANDO l’onda post-punk recede, la risacca porta a galla quei curiosi residui di decadenza albionica assurti a ingrediente tradizionale della produzione dei Libertines. È soprattutto Doherty a battere questa linea con Merry Old England — vigorosa performance vocale per un altro refrain di sicuro riscontro collettivo — e Shiver, scritta assistendo al funerale della regina Elisabetta mentre la band si trovava in Giamaica per alcune registrazioni. «It’s all too much today, Liz has gone away» canta Pete su uno sfondo musicale che sembra provenire dritto dritto dagli anni Novanta, fugace golden age rievocata non solo dai testi ma anche da certi pattern ritmici come quello di Night Of The Hunter, che rende il tema del Lago dei cigni un credibile riff post rock.
Il culmine introspettivo si raggiunge con l’ultima traccia, Songs They Never Play On The Radio, epilogo di un album che può essere certamente letto nell’atmosfera da ultima chiamata per Cool Britannia già instaurata nei mesi scorsi dai ritorni dei Blur, dei Pulp e dei fratelli Gallagher. Tutto tranquillo, lungo la Eastern Esplanade, ma di fronte alle Albion Rooms c’è aria di check-out e la sensazione è che Tony Blair possa far capolino da un momento all’altro.

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