Visioni

The Butler, un maggiordomo noiosetto alla Casa Bianca

The Butler, un maggiordomo noiosetto alla Casa BiancaForest Withaker e Robin Williams

Prima visione L'opera terza di Lee Daniels, il regista di Precious, propone la storia americana vista nell'interpretazione forrestgumpiana di Forest Withaker

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 3 gennaio 2014

Dopo il pirotecnico viaggio tarantiniano negli abissi dello schiavismo (in cui usava il pretesto del western all’italiana per confrontarsi con John Ford) un afroamericano di Philadelphia e un inglese che discende da immigranti africani nei Caraibi (Granada) affrontano quest’anno, con The Butler e 12 Years a Slave due storie vere di black experience.

Anche se, in fatto di colore delle pelle, il rapporto tra padroni e servitù , nella Casa bianca tra il 1957 e il 1991, ricorda quello di una piantagione, è un maggiordomo, non uno schiavo, il protagonista di The Butler, il nuovo film di Lee Daniels (Precious, The Paperboy) ispirato alla figura di Eugene Allen, assunto sotto la presidenza Eisenhower e, per i successivi trentaquattro anni, a diretto servizio dei primi cittadini degli Stati uniti. La sua storia era stata raccontata in un articolo del Washington Post uscito pochi giorni dopo la cerimonia d’insediamento per il primo mandato alla Casa Bianca di Barack Obama (alla quale aveva partecipato anche l’anziano maggiordomo, ormai in pensione) che ha dato a Daniels l’idea del film.

A partire dalla fotografia perennemente immersa in un bagno do luce dorata, dalle musiche turgide, fino all’interpretazione forrestgumpiana di Forest Whitaker (nei panni del maggiordomo, Cecil Gaines), alla presenza intelligente e calcolata di Oprah Winfrey (già produttrice di Precious, qui è la moglie di Gaines) ai non sempre riusciti camei presidenziali di Robin Williams (Eisenhower), John Cusack (Nixon), Liev Schrieber (Johnson), Jane Fonda (Nancy Reagan), Alan Rickman (Reagan)….The Butler strilla «fatto per gli Oscar» da tutte la parti. Si tratta di un film con ambizioni che vanno molto oltre la biografia del suo protagonista. L’idea, infatti, è di usarla per contrappore «l’ascesa» professionale di Gaines – diplomatica, lenta, paziente, silenziosa (mai parlare quando non interpellati –questo non è il maggiordomo di Django Unchained..) a quello che stava succedendo in America fuori dalla Casa bianca, e in particolare all’evoluzione, tutt’altro che silenziosa a paziente, del movimento per i diritti civili.

È la «vecchia guardia» che sopravviveva rispettando le gerarchie contro chi ha deciso di abbatterle. Così, quella che poteva essere una microstoria di punto di vista e dettagli affascinanti viene ingabbiata in una struttura didattica che, attraverso il rapporto conflittuale tra Gaines e il giovane figlio «attivista» Louis (l’attore inglese David Oyelowo), marca come una lista della spesa tutte le tappe must della storia Usa di quegli anni (gli omicidi di John Kennedy e Martin Luther King, il Vietnam, Watergate, Ku Klux Klan e Black Panthers, la disgregazione della scuola …fino a Reagan contro Nelson Mandela..). In realtà , lontano dalla «storia monumentale» dietro ai muri di 1600 Pennsylvania Avenue o sulle barricate, le scene più interessanti del film, quelle raccontate da una prospettiva più originale sono quelle della realtà domestica di Cecil Gaines. Ma sono sfumature che purtroppo si perdono in questo polpettone pieno di cliché.

Con l’atteggiamento da «sbatti il mostro in prima pagina» dei suoi film precedenti, che faceva un tutt’uno di exploitation e politically correct, Daniels poteva piacere o meno, ma in genere il suo lavoro suscitava almeno reazioni polarizzanti e appassionate. Questo è sicuramente il film più addomesticato , cinico e banalmente sentimentale che abbia mai fatto.

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