Visioni

«The Book of Vision», il sapere nasce dalla poesia

«The Book of Vision», il sapere nasce dalla poesiaUna scena da «The Book of Vision»

Cinema In prima tv il film di Carlo Hintermann, unione di filosofia e immaginazione. Venerdì 22 dicembre a Fuori Orario su Rai3, seguirà una conversazione con il regista

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 15 dicembre 2023

The Book of Vision di Carlo Hintermann passò nel 2020 fuori concorso alla Settimana Internazionale della Critica, mostrando una volta di più, in contrasto con la prassi narrativa sottesa il più delle volte all’uso delle immagini nel contemporaneo e mettendosi invece in ascolto del «cristallo» (l’ambage vitrea intrinseca a ogni immagine cinematografica), la possibilità – anzi la prerogativa – che ha l’inquadratura di farsi attante innanzitutto filosofico, poi eventualmente letterario, finanche scientifico-medico, com’era successo in un film per certi versi simile a quello di Hintermann, quel Vital di Tsukamoto in cui il corpo disegnato con matite saturanti un’infinità di condotti arteriosi e poi sezionato dai bisturi, dai forcipi, scrutato fin negli anfratti più tenebrosi, nelle cervici, negli acrocori spugnosi addominali, era stato il mezzo di un ritorno, della riconquista di un tempo perduto dentro la zona sospesa, autogena che è l’immaginazione.

CIOÈ QUELLA SEDIMENTAZIONE di spazio-tempo, non ridotta a referto storico, diacronico, che è realtà in sé, non derivazione, se mai deviazione (di motivi, vettori, ipotesi); dimensione in cui le sagome si formano, si sformano nel campo ondivago di «un ricordo che non ricorda più niente», se non se stesso, il meccanismo stesso della memoria: insomma il cinema, in cui c’è traccia di tutto eppure tutto appare così evanescente. In questa dimensione, nella consapevolezza della natura transeunte e allo stesso tempo conoscitiva dell’immagine – per segni, simboli che non fanno che mostrare lo spazio di labilità, di alterità di cui sono fatti –, si muove il cinema di Hintermann e tanto più The Book of Vision, tra i film più ambiziosi visti negli ultimi anni, tutto catafratto in sé, nella pesante chiusura di un volume antiquario, dentro il proprio rigore filosofico – lo studio del corpo da una prospettiva umanista, animista oltre che scientifica –, eppure così categoricamente aperto alle inferenze che l’immaginazione, la coltre vitrea dell’immagine, possono dettare, tra lemuri, streghe, viventi fatti di melme; messe di forme acquee o d’altro canto cubiche, stanze scialitiche o scialbe, tutte votate a un’idea simmetrica, geometrica del mondo: come una sterilizzazione del mondo contemporaneo.

The Book of Vision sarà trasmesso la notte di venerdì 22 dicembre, a partire dall’1.40, in prima visione tv su Rai3 a Fuori orario (a cura di Roberto Turigliatto e Fulvio Baglivi) e poi su Raiplay, occasione per perdersi nelle intercapedini di un film che ha il pregio di voler cancellare i displuvi imposti tra i saperi. A un tratto Eva, la protagonista del film, dice a proposito di questo libro: «È come studiare anatomia attraverso una poesia».

ECCO È QUESTA mistione di prospettive fondata sulla dialettica del segno, sul suo inalienabile – ed equivocabile – portato di senso, il presupposto di questo film ponderoso e affascinante. Non so se Hintermann, che è regista coltissimo e avvezzo al sincretismo, conosca il testo di Schelling, Il sistema dell’idealismo trascendentale: fatto sta che il suo The Book of Vision sembra tornare a questo libro cardine del Romanticismo, all’idea che tutto il sapere, nelle sue sopraggiunte diversificazioni, nelle discipline in cui si è diramato nel tempo, sia nato dalla poesia, dall’enorme, indistinto mare della poesia, a cui questi affluenti, alla fine del loro massimo, specifico sviluppo, non potranno che tornare.

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