Tessere relazioni, dare spazio agli anticorpi
Sinistra Nel 1983, Luigi Pintor sul manifesto scrisse un editoriale famoso e il titolo del giornale era Non moriremo democristiani. Mi è capitato di pensare che non sarebbe poi stato tanto […]
Sinistra Nel 1983, Luigi Pintor sul manifesto scrisse un editoriale famoso e il titolo del giornale era Non moriremo democristiani. Mi è capitato di pensare che non sarebbe poi stato tanto […]
Nel 1983, Luigi Pintor sul manifesto scrisse un editoriale famoso e il titolo del giornale era Non moriremo democristiani. Mi è capitato di pensare che non sarebbe poi stato tanto male morire democristiani. Si è visto di peggio. E si vede tuttora.
Per questo forse oggi la sinistra, quello che ne rimane, mi sembra molto incerta rispetto al governo Conte.
Eppure le critiche sono assolutamente giustificate perché l’azione del governo è subalterna a Confindustria (pure mai così antigovernativa), perché la chiusura dei porti e la resistenza a regolarizzare i migranti delle campagne sono fuori da un qualunque ordine costituzionale – e umano; perché sulla scuola si sta passando dal non fare nulla a fare un enorme
casino.
E allora perché tanti tentennamenti verso un esecutivo che ha aperto le fabbriche e lo shopping ma chiuso le scuole: non è evidente che contano il consumo e il profitto più del sapere? Però la situazione di oggi mi pare complicata e il contesto sembra avere il potere di criticare la sua critica.
La scuola, ad esempio, ha una specificità che la rende assai diversa da altri luoghi di lavoro. È spazio pubblico dove la società incontra si stessa e si educa a un mondo comune. Quello degli insegnanti è lavoro dipendente ma non subordinato, ha bisogno di libertà, cura delle relazioni – proprio di contatti: in un certo senso deve arrivare all’anima di ragazze e ragazzi, e non si può fare senza i loro corpi. Il sapere che si costruisce è un fatto personale o non è.
I bar, i ristoranti e anche le fabbriche possono riaprire senza forse insormontabili problemi di sicurezza – le scuole con molte più difficoltà.
Se pensiamo di essere semplicemente di fronte alla vittoria definitiva delle merci sulla conoscenza o al compimento della virata totalitaria del potere, alla fine ci inoltriamo in una notte dove tutte le vacche sono nere. Da Conte a Trump a Orbàn, tutto il potere uguale a se stesso.
Peraltro, non mi pare sia esistito un altro periodo storico in Italia in cui è stata così inesistente una sinistra politica. L’opposizione a questo governo è quasi tutta di destra – populista, sovranista, razzista. Alla fine non esiste nessuna alternativa a questo governo che non sia decisamente peggiore.
Allora gran parte dei ragionamenti critici di intellettuali raffinati, finisce per apparire fuori squadra rispetto al mondo che ci circonda. E che la colpa sia del mondo non cambia molto politicamente. È come se il pensiero critico subisse una sorta di critica del contesto. Tutto il discorso della sinistra diventa sterile se mancano soggetti che parlino quella lingua, o se non parla ai soggetti possibili. Rischia di salvare la nostra coscienza ma non ora non qui.
Si dovrebbe dare spazio e voce agli anticorpi della società rispetto al neoliberismo che si presenta come la soluzione alla crisi, chiedendo per sé tutte le risorse dello stato. Liberisti con i soldi degli altri. Intercettare forme di resistenza all’individualismo che progetta di salvare i poveri arricchendo i ricchi. Costruire un’alternativa a partire da un sentimento diffuso, da reti di aiuto reciproco, che parlano del valore della dimensione pubblica, collettiva della vita. E un po’, fuori dalle istituzioni, comincia a costruirla.
Perché a me sembra che almeno in parte una cultura politica comune abbia circolato. C’era anche molta retorica dai balconi e sui cartelli. Lo dimostrano gli stucchevoli messaggi pubblicitari di questi mesi. Però forse in quel tessuto di relazioni di vicinanza, nella percezione di un mondo comune, c’è lo spazio per una sinistra che punti sul valore di un lavoro che fa i conti con la polis e l’ambiente: l’orgoglio di chi ha operato negli ospedali, un’attività che non è solo prestazione burocratica, il sentire che costruisce società. Non come banale assistenzialismo ma per l’appartenenza comune a un destino di vulnerabilità che ci lega tutte e tutti.
Nativi e migranti. Fratelli e sorelle, parte della natura e non padroni. Su una bella rivista di molti anni fa, Luogo comune, è stato scritto che siamo più forti nel costruire barricate se abbiamo creato dietro un territorio nostro da vivere e proteggere. Sanità, scuola, relazioni umane non mercificate, mutualismo. La comunità che può venire, d’amore e di conflitto.
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