La Regione Molise, con una Determinazione del 18 luglio scorso, ha autorizzato l’Enel a realizzare nelle Piane di Larino, un impianto fotovoltaico della potenza nominale di 2142 KWP e potenza massima di immissione alla rete elettrica pari a 1800 KWP.
Si tratta di circa 5 ettari di terreno che verrebbero occupati da pannelli solari, ma le istanze finora arrivate in Regione complessivamente riguardano circa 2500 ettari. Per questo è importante capire la logica di questa prima autorizzazione: altre ne potrebbero seguire.
La normativa sul fotovoltaico a terra, dal 2003 (D Lgs 29 dicembre 2003 n. 387 art. 12 comma 7) in poi, prevede esplicitamente che siano usati terreni improduttivi, abbandonati o comunque marginali dal punto di vista agricolo. Invece nella Determinazione della Regione Molise si concede l’utilizzo di terreni irrigui e qui ogni ragionamento sul senso delle rinnovabili salta.

Cercate di immaginare la situazione: ci sono terreni che vengono utilizzati per l’agricoltura, e che si ritengono talmente importanti da meritare di essere raggiunti dai sistemi di irrigazione. Queste operazioni, peraltro, si fanno anche e soprattutto con soldi pubblici, ovvero con il denaro dei cittadini che pagano le tasse.

Che senso ha che una Regione che ha investito risorse economiche per consentire ai suoi agricoltori di coltivare degli appezzamenti conceda poi all’Enel di impiantare su quei terreni pannelli fotovoltaici che resteranno là per decenni e toglieranno per sempre a quelle terre la possibilità di produrre?

C’è di più: l’Arsarp, Agenzia regionale (Regionale!!! Cioè che lavora per quella medesima istituzione!) per lo sviluppo agricolo, aveva dato, su questa proposta di impianto, un parere negativo. Parere che per legge non è vincolante e infatti non ha vincolato nessuno, nemmeno la sua stessa Regione. Ancora: sui terreni agricoli non si paga l’Imu e se l’Enel occupa terreni agricoli, anche se produce un bene industriale, non paga l’Imu industriale, poiché al terreno non viene cambiata la destinazione d’uso. Questo è un vulnus della legge nazionale, ma così siamo al secondo danno per la comunità: non solo le si sottraggono terreni eccellenti che potrebbero produrre cibo di altissima qualità, ma si consente ai nuovi industriali di non risarcire la comunità (i cui soldi sarebbero già stati sprecati una volta per il sistema di irrigazione) come dovrebbe.

Poi c’è il danno in termini di qualità del prodotto agricolo. Vicino alla zona interessata da questa iniziativa ci sono diverse realtà agricole di eccellenza, una cantina che fa prodotti Dop, un agriturismo, e comunque in quella regione c’è La Molisana, pastificio fiore all’occhiello del territorio, che potrebbe aver bisogno di quei terreni per aumentare le sue forniture di grano a km zero, date le notevoli quantità di pasta prodotte e data la situazione di richiesta di grano italiano che si registra negli ultimi anni. Perché sottrarre altro terreno alle produzioni di qualità, e dedicarlo a produzioni (i kilowatt) che vengono uguali sia che li si metta su una pietraia sia che li si metta sulle vigne dello Champagne?

Se le Regioni per prime non proteggono i propri territori, a chi si deve rivolgere un cittadino attento per non essere assediato da iniziative di rapina collettiva?

Alcune associazioni locali, tra cui Slow Food Termoli, stanno provando a fare rete tra i tanti «indignati» e pensano di fare un ricorso al Presidente della Repubblica: serve un fronte compatto e anche qualche soldino. Chi fosse interessato a dare una mano può rivolgersi alla condotta Slow Food di Termoli: termoli@network.slowfood.it