Terence Davies: «La vita da outsider di Emily Dickinson»
Cinema Il regista inglese racconta «A Quiet Passion», biopic sulla poetessa ottocentesca in sala giovedì prossimo
Cinema Il regista inglese racconta «A Quiet Passion», biopic sulla poetessa ottocentesca in sala giovedì prossimo
«Mi sono imbattuto per la prima volta in Emily Dickinson quando avevo più o meno 18 anni: in tv c’era un documentario su di lei e Claire Bloom leggeva le sue poesie» racconta Terence Davies, che alla grande poetessa americana ha dedicato il suo nuovo film: A Quiet Passion, nelle sale italiane da giovedì prossimo. E a prestare il suo volto a Dickinson è Cynthia Nixon, l’attrice che a settembre sfiderà Andrew Cuomo alle primarie del partito democratico per scegliere il prossimo candidato alle elezioni per il governatore di New York. «Prima di lavorare con lei non ero a conoscenza della sua passione politica – dice il regista – è un’agguerrita democratica e mi auguro che vinca perché è vera, appassionata, e ha un gran senso dell’umorismo».
La poesia di Dickinson che lo colpì in modo particolare, continua Davies, è Questa è la mia lettera al mondo: «Non riuscivo a smettere di leggerla: trovo struggente la pacifica accettazione del suo insuccesso di cui Dickinson dà prova in questa poesia. Mentre era in vita sono state pubblicate infatti solo 7 delle sue poesie, anche se in tutto ne ha scritte più di 800. Era all’avanguardia: se avesse scritto versi d’amore vittoriani come le sue contemporanee l’avrebbero pubblicata molto di più, ma la sua integrità spirituale l’ha portata a essere un’artista compresa solo dalla posterità».
Questa sua passione per la scrittura è al centro della storia di A Quiet Passion, che segue la vita della poetessa ottocentesca, e il suo viscerale attaccamento alla famiglia, dalla prima giovinezza fino alla morte per nefrite renale a soli 55 anni. A emergere è soprattutto la sua qualità, scelta ma anche sofferta, di outsider: «Nel film c’è più di una componente autobiografica – spiega il regista – io sono il più giovane di dieci fratelli di una famiglia cattolica di Liverpool, e quando ho scoperto la mia omosessualità in un’epoca in cui era addirittura un reato pregavo ardentemente di poter essere come tutti gli altri, senza trarne alcun conforto. Come Emily Dickinson nella vita sono sempre stato una persona che sta ’al di fuori’, osserva gli eventi piuttosto che viverli».
Un’osservazione attenta centrale nel suo modo di raccontare la vita di Dickinson: «Non mi piace il montaggio veloce, è come il cibo poco nutriente di un fast food. Per questo faccio lunghi piani sequenza: quando si è obbligati a guardare si cominciano a intravedere quegli ’attimi fuggenti’ che nascondono un senso più profondo».
In un film dedicato a una poetessa, grande importanza ha l’uso della lingua: «Era fondamentale che gli attori impiegassero un inglese del 19esimo secolo, e più specificamente quello della borghesia americana di allora, che imitava il modo di parlare britannico». E, oltre a Emily Dickinson, un ruolo da «protagonista» lo ha anche la casa di famiglia ad Amherst (vicino Boston) che la poetessa non ha mai lasciato sino alla morte: «Gli esterni sono girati proprio lì, nella sua bitazione oggi diventata un museo, e dove è esposto anche il vestito bianco che Dickinson ha sempre indossato dopo la morte del padre. Per questo nel film ho fatto in modo che sembrasse sempre più sporco. Finché alla sua morte non torna di un bianco immacolato».
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento