Telegram chiude i rubinetti all’Isis resuscitato
Hacker’s Dictionary Sono 26mila gli account della propaganda islamica radicale chiusi da Europol in quattro giorni con la collaborazione di Telegram, Google, Twitter e Instagram. Ma gli investigatori vogliono più poteri
Hacker’s Dictionary Sono 26mila gli account della propaganda islamica radicale chiusi da Europol in quattro giorni con la collaborazione di Telegram, Google, Twitter e Instagram. Ma gli investigatori vogliono più poteri
In un comunicato stampa diramato lunedì l’Europol ha affermato che tra il 21 e il 24 novembre le autorità europee hanno condotto una vasta operazione contro il cosiddetto Stato Islamico, Isis, o quello che ne rimane, per impedirne la propaganda digitale.
Condotta da Europol, Eurojust, dodici paesi europei e nove service provider, l’intervento, coordinato dalla procura federale belga, ha portato alla chiusura di 26mila account, pagine e canali chat facenti riferimento all’integralismo islamico che predica la jihad.
Già negli anni precedenti, contemporaneamente alle batoste inferte al Cybercaliphate dagli hacker attivisti di Anonymous, le agenzie europee erano intervenute in questo senso. Nell’agosto 2016 e nel giugno 2017 Europol era riuscita a bloccare l’app di Amaq, l’agenzia di stampa e organo di propaganda del sedicente Stato Islamico, e a sequestrarne i server, fino all’identificazione di numerosi radicalizzati in 133 paesi e all’individuazione di 52mila simpatizzanti. Infine nel 2018 le stesse autorità avevano messo in ginocchio l’infrastruttura dell’Isis che a quel punto aveva deciso di concentrare i propri sforzi nei social media.
«La prevenzione è cruciale per la lotta al terrorismo perché se si riesce a bloccare il meccanismo di propaganda si inceppa anche quello della radicalizzazione, il reclutamento di potenziali terroristi e la diffusione di messaggi che possono portare a nuovi attacchi», ha detto durante la conferenza stampa Ladislav Hamran, presidente di Eurojust.
Google, Instagram e Telegram, poco inclini a intervenire per bloccare fake news e propaganda politica a pagamento, stavolta hanno partecipato allo sforzo delle autorità europee per rimuovere i contenuti pericolosi. Ma una parte significativa della galassia jihadista continua ad operare su Telegram. E proprio sui canali della chat creata dai fratelli Durov alcuni profili hanno suggerito di usare mezzi alternativi di comunicazione come RocketChat.
Il motivo è facile da capire. La guerrilla informatica si sposta sempre un click più in là da chi cerca di reprimerla e RocketChat è una piattaforma recente, gratuita e open source, per chat di gruppo, che permette agli utenti di comunicare in modo sicuro e in tempo reale su dispositivi desktop o mobile. Consente inoltre conferenze audiovideo, condivisione dei file e degli schermi, e l’accesso a un numero illimitato di utenti, canali, messaggi, sia su cloud che su propri server. Ma, dicono gli analisti, non viene usata dal 5 novembre dagli integralisti.
Intanto, anche se nella conferenza stampa non sono stati fatti numeri, Telegram ha ammesso di aver chiuso duemila «bot e profili radicali» il 22 di novembre e altri 2.959 il giorno seguente, rispetto a una media di 300 interventi giornalieri.
Dati i risultati appare ancora più inquietante l’appello di Gilles de Kerchove, coordinatore antiterrorismo dell’Unione europea, e di molti procuratori italiani e stranieri per la pronta adozione di un nuovo pacchetto di misure volte ad agevolare la produzione e la conservazione di prove elettroniche in materia penale per colpire crimine organizzato e terroristi. Proposte presentate dalla Commissione europea nell’aprile 2018 che impongono un termine tassativo di dieci giorni ai prestatori di servizi web per rispondere alle richieste della magistratura prima che le prove elettroniche siano soppresse.
E a patto che siano conservate con cura. La polizia di New York ha reso noto ieri di aver disconnesso le proprie banche dati biometriche a causa di un attacco ransomware.
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