Telefonata Lavrov-Kerry. E Assad apre ai «nemici»
Strategie Un maggior coinvolgimento russo potrebbe intensificare il ruolo di Teheran
Strategie Un maggior coinvolgimento russo potrebbe intensificare il ruolo di Teheran
Chiara Cruciati
I profughi siriani alle porte d’Europa provano a raccontare al mondo le ragioni della loro fuga da un conflitto globale, mascherato da guerra civile. Le risposte concrete che gli vengono concesse sono muri, arresti, fili spinati, quote di distribuzione quando va bene. Risponde anche la diplomazia mondiale: i leader che hanno infiammato la crisi siriana oggi si vestono da pompieri. Tutti quei pompieri, però, la guerra continuano ad accenderla, tra minacce militari, presunto dispiegamento di truppe, raid limitati alle aree che sono più consone ai propri interessi, diktat su chi avrà l’onore di sedersi al tavolo del negoziato.
Dalla Francia all’Australia, dagli Usa alla Russia, tutti parlano la stessa lingua: porre precondizioni contrapposte per imputare all’avversario lo stallo nelle trattative. Agli Usa che accusano Mosca di voler intervenire militarmente, mercoledì il ministro degli Esteri russo Lavrov ha risposto con una telefonata alla controparte, John Kerry: la Russia propone un dialogo diretto sul ruolo delle truppe russe.
Un meeting tra eserciti per minimizzare il rischio di uno scontro tra forze che, in teoria, hanno lo stesso obiettivo, fermare l’Is. Washington dovrà valutare bene la proposta, alla luce delle rivelazioni del Nobel per la Pace Ahtisaari che pochi giorni fa imputava agli Stati uniti di non aver colto al volo un’offerta russa di tre anni fa: la testa di Assad in cambio della pace. Ieri funzionari del Pentagono anonimi hanno rivelato che l’amministrazione Obama sta valutando di accettare la nuova proposta russa. Che andrà tenuta in considerazione anche alla luce di altre dichiarazioni, stavolta riguardanti il programma di addestramento Usa da 500 milioni di dollari a favore delle opposizioni moderate, che ha finito per sgonfiare uno degli strumenti principali, almeno secondo Washington, della strategia occidentale anti-Isis: combattenti locali contro lo Stato Islamico, sia per evitare di mandare i propri marines che per assecondare il dichiarato obiettivo delle opposizioni siriane, ovvero contrastare il governo di Damasco.
Ma sebbene le opposizioni moderate siano ormai pressoché inesistenti, il loro eventuale coinvolgimento potrebbe fare il gioco (diplomatico) dell’altro «pompiere», il presidente siriano Assad. Mercoledì in un’intervista alla tv russa, Assad ha aperto alla collaborazione con gli storici nemici del suo governo: Golfo, Turchia, Stati uniti e opposizioni moderate.
«Non si tratta di una relazione personale, ma tra Stati. Se un meeting con chiunque nel mondo porterà beneficio al popolo siriano, lo devo fare, che mi piaccia o no. Quindi, sì, siamo pronti». Pronti a lavorare con chi ancora oggi lo vuole fuori dai giochi, ma a cui Assad muove un appello diretto: ribelli, unitevi all’esercito per cancellare l’Isis e poi individuare una soluzione politica. Il presidente siriano sa bene che, almeno al momento, non ci sarà alcuna risposta positiva. Allora a che serve? A mostrarsi il possibile asso nella manica della diplomazia mondiale, un leader pronto al compromesso per tranquillizzare l’Occidente, con l’inviato Onu De Mistura che ieri volava a Damasco per discutere di piani di pace.
Senza dimenticare l’altro grande pompiere mediorientale, l’Iran, che un piano di pace l’ha già presentato da tempo, inascoltato. E ora un maggior coinvolgimento russo potrebbe intensificare il ruolo di Teheran. Ad oggi la presenza iraniana in Siria è innegabile ma non consistente: Teheran opera attraverso milizie sciite e le proprie Guardie Rivoluzionarie ma, più che combattere, coordina facendo grande affidamento sulle unità militari di Hezbollah che seguono la battaglia lungo il confine libanese. L’asse sciita tiene, ma non sfonda. Nonostante ciò, preoccupa comunque Tel Aviv: il premier Netanyahu andrà a breve in Russia per discutere con Putin di Siria e delle «minacce rappresentate dall’arrivo di altre armi verso Hezbollah e altri gruppi terroristici», si legge in un comunicato dell’ufficio del primo ministro. Netanyahu finge di dimenticare chi ha dato e dà ancora oggi sostegno – verificato dall’Onu – ai gruppi armati di opposizione di stanza a sud.
Chi mostra seria preoccupazione è anche la Turchia che vede minacciato il progetto anelato per anni: una zona cuscinetto in Siria lungo il confine turco. Dopo aver strappato un sì a denti stretti dalla Nato, il rinnovato supporto russo ad Assad potrebbe inficiare sui tentativi turchi di usare quel corridoio di territorio sia per demolire le spinte all’autodeterminazione kurde che per addestrare i ribelli anti-Assad. Mosca lo dice da tempo: la zona cuscinetto viola la sovranità siriana.
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