Telecom, la crisi del piccolo mondo antico
Nel bel volume Les crises du capitalisme, raccolta di scritti meno noti di Marx, pubblicata nel 2009 a cura di Daniel Bensaid, nell’appendice – alla voce ««Capitaliste» – si cita […]
Nel bel volume Les crises du capitalisme, raccolta di scritti meno noti di Marx, pubblicata nel 2009 a cura di Daniel Bensaid, nell’appendice – alla voce ««Capitaliste» – si cita […]
Nel bel volume Les crises du capitalisme, raccolta di scritti meno noti di Marx, pubblicata nel 2009 a cura di Daniel Bensaid, nell’appendice – alla voce ««Capitaliste» – si cita come esempio Vincent Bolloré. Vale a dire il presidente della società francese attiva nel mondo dei media, a suo tempo proprietaria di Canal+ e oggi assai presente nelle comunicazioni: dal 2009 con la Global Village Telecom (Gvt), la controllata brasiliana oggetto delle baruffe recenti.
Bolloré è il protagonista dell’ultima sconfitta sul campo di Telecom Italia nel duello con la spagnola Telefonica per acquisire la società di telecomunicazioni franco-carioca. Sembrava fatta per il gruppo italiano, i cui azionisti commentano curiosamente quasi come un successo la botta ricevuta all’ultimo momento.
In verità, la differenza tra le due offerte la dice lunga sulla situazione reale dell’ex monopolista: alla proposta di 7,45 miliardi degli iberici – di cui ben 4,7 in contanti e il resto in titoli, Telecom è arrivata a soli (?!) 1,7 miliardi per la parte cash. E i capitani di ventura dell’odierno capitalismo finanziario seguono rigorosamente il motto «pochi, maledetti e subito». Del doman non c’è certezza, d’altronde. Ora, si dice, Vivendi potrebbe rilevare la partecipazione di Telefonica (8,3%) in Telecom, rientrando così nell’orizzonte italiano. Vedere per credere.
E’ logico un accordo dopo una scazzottata? Tra l’altro, qui emerge un punto delicatissimo, che fu oggetto già ai tempi del governo Letta di un’interrogazione al Senato di Massimo Mucchetti. Vale a dire l’incredibile «doppia vit» di Telefonica, azionista rilevante e insieme concorrente dell’amico-nemico. Dottor Jekyll e mr. Hyde, da manuale stevensioniano. Ed ecco pure un caso di scuola di conflitto di interessi, di fronte al quale il governo – dotato della cosiddetta golden power con cui può intervenire sulle scelte strategiche del settore – si volta dall’altra parte. Poveri piccoli azionisti di Telecom, che forse pensano che il mercato esista davvero.
Non solo. Subisce un altro colpo la strategia multimediale italiana, il connubio – cioè – tra reti e contenuti. Per affrontare il capitolo sul serio, servirebbero azionisti in grado e con la voglia di investire. Ma Generali e Intesa non sembrano interessati e Mediobanca (altra vicenda assurda) fa persino l’advisor del gruppo cui partecipa.
L’accidente viene da lontano: innanzitutto dalle modalità sbagliate con cui negli anni novanta si gestì la «madre» di tutte le privatizzazioni, con il seguito di scalate successive e voragini economiche. La lezione da trarre, insomma, dall’esito dell’ultimo scontro è l’inquietante debolezza strutturale di Telecom. E’ la crisi del piccolo mondo antico, che non ha saputo fare il salto nell’età globale. E’ la crisi di un capitalismo che sa alzare la voce solo con i deboli. Telefonica o Vivendi si prenderanno magari in carico Mediaset (la Rai è in castigo, del resto), perché un mezzo matrimonio con la televisione è d’obbligo per sopravvivere. Stiamo parlando, infatti, del vecchio mercato chiuso in difesa, visto che il gioco davvero importante è tra gli emergenti «Over the top», da Google ad Amazon. Un agosto che peserà sul futuro, eccome.
E la chiamano estate, diceva una bella canzone.
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