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Teatro San Carlo, un coro di no alla «priorità» di Letta

Teatro San Carlo, un coro di no alla «priorità» di Letta

Cultura Il decreto Bray da oggi in discussione alla camera

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 1 ottobre 2013

Comincia oggi alla camera l’iter del decreto Valore cultura, che dovrà essere convertito entro l’8 ottobre, pena la decadenza. Il premier Enrico Letta, domenica da Fabio Fazio, lo ha inserito tra le priorità del suo governo. «Il decreto è stato voluto per Pompei – spiegava ieri la senatrice Pd Luisa Bossa, durante l’assemblea dei lavoratori del Massimo partenopeo -, non era scontato che si trovassero 75milioni per le 14 fondazioni lirico-sinfoniche». I lavoratori del San Carlo sono sul piede di guerra: «Ci ritroveremo con una legge che stabilisce che per avere accesso ai fondi è obbligatorio decurtare lo stipendio e licenziare».
Il testo infatti pone due condizioni: il taglio del salario di secondo livello e la messa in mobilità del 50% del personale tecnico e amministrativo, che potrebbe finire all’Ales spa (ente in house del Mibac). «Il ministro Bray – proseguono i lavoratori – fa felice il sindaco di Firenze Matteo Renzi: il Maggio Musicale è in forte passivo e la legge lo autorizzerà a ridurre della metà gli amministrativi, che sono circa 120. Al San Carlo però sono solo 30. Il ministero poi sostiene che la media dei compensi è di 44mila euro lordi annui, ma il contratto nazionale è fermo da 20anni, quel minimo che abbiamo ottenuto è proprio sull’integrativo a livello territoriale».
A Napoli un tecnico di palco guadagna 1.550 euro al mese (450 di integrativo), un ballerino solista 1.600 (circa 400 di integrativo), un orchestrale di fascia media 2 mila (500 di integrativo): «Una marimba mi costa 11 mila euro e un vibrafono 8 mila – spiega il percussionista Marco Pezzenati -, abbiamo paghe da fame. Alla Scala hanno uno stipendio base e un integrativo molto più alto ma lavorano di più. Il decreto invece ci tratta come fossimo uffici postali, tutti uguali».
Se passerà senza emendamenti, il primo effetto del dl sarebbe drenare risorse dagli stipendi alla fondazione: «Contribuiremmo più di comune e camera di commercio, allora dateci un posto nel cda», dicono i lavoratori. Che vogliono più trasparenza sui conti: perché, si chiedono, il ministero ci obbliga ad aderire al fondo se i bilanci sono in attivo da 5 anni? Il lirico di Napoli è uscito da poco dal commissariamento.
Il patrimonio è da ripianare, eroso dai prestiti con le banche, un compito che tocca ai soci (comune, regione, provincia e camera di commercio). Mancano all’appello altri 40 milioni: 20 costituiscono il debito con l’Enpals, il commissario stabilì il rientro a tappe forzate togliendo ossigeno al teatro; gli altri sono fondi europei per progetti speciali, assegnati dalla regione in arretrato con la rendicontazione. Il ministro avrebbe voluto che sabato si alzasse il sipario alla presenza di Napolitano, ma non ha speso una parola su eventuali emendamenti. Oggi ci sarà un cda straordinario, poi l’incontro del sindaco (presidente della fondazione) con i lavoratori. Seguirà quello con i sindacati.

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