«Voglio portare il teatro lirico più antico al mondo a un livello molto alto nel panorama internazionale. È la mia missione e la voglio portare a termine»: sono le parole pronunciate ieri dal sovrintendente del Teatro San Carlo di Napoli, Stéphane Lissner, durante la presentazione della prossima stagione. Dovrebbero suonare come una rassicurante dichiarazione di intenti e invece sono una sfida alla premier Giorgia Meloni (e a FdI) da un lato, al presidente della regione Campania Vincenzo De Luca dall’altro. Entrambi hanno messo nel mirino l’incarico: ognuno dei due, infatti, vorrebbero piazzare un nome utile alle rispettive strategie. I luoghi della cultura in Italia così sono percepiti, come propaggini del potere politico che in quel momento occupa le istituzioni di riferimento.

Il ministro della Cultura, il napoletano Gennaro Sangiuliano, ha fatto mettere a verbale nella cartella della precedente conferenza stampa di inizio aprile: «Oggi il San Carlo non ha ancora una proiezione pari alla sua storia, al suo valore e potenzialità». Allora Lissner replicò: «Chiederei al ministro di dare a tutti noi dei consigli specifici sulle aree di miglioramento che ha individuato». E Sangiuliano: «Il ministero della Cultura non è solo un centro di spesa: deve avere un suo immaginario italiano da proiettare nel mondo, un immaginario che esprima la grandezza del nostro Paese». Una frase che rivelava una certa insofferenza verso il sovrintendente francese. Anche se dopo la campagna Enit «Open to meraviglia» sembra difficile per il governo tenere il punto.

La poltrona al San Carlo serve alla premier Meloni per paracadutarci l’attuale amministratore delegato della Rai Carlo Fuortes, scelto all’epoca da Mario Draghi. Non lo si può rimuovere senza un nuovo incarico di prestigio e sono già falliti i tentativi con il Maggio Fiorentino e la Scala di Milano. Resta Napoli. Ma Lissner non ci sta a farsi mettere alla porta. «Abbiamo un teatro che va molto bene – ha proseguito ieri cercando di ammorbidire i toni -, abbiamo un sindaco (Gaetano Manfredi, presidente della Fondazione ndr) e un Consiglio di indirizzo che stanno supportando il nostro lavoro ed è questo che conta. Ho un contratto di cinque anni, finisce ad aprile 2025, tutte le altre cose sono supposizioni. Leggo parole che non ho mai detto. Questa stagione non è una risposta perché è una stagione che abbiamo elaborato in più di due anni. Noi lavoriamo così».

Il grimaldello individuato dal governo per rimuoverlo dovrebbe essere un decreto (ancora da approvare) per estendere la legge Madia del 2015 ai sovrintendenti stranieri a quali, così, verrebbe impedito di occupare incarichi di vertice in enti che rientrano nel bilancio consolidato dello Stato una volta compiuti i 70 anni e percependo una pensione. Lo scorso 18 aprile Lissner ha inviato una lettera con richiesta di chiarimenti ai soci (Mic, regione Campania, comune di Napoli) informando di aver dato mandato ai suoi legali di seguire la vicenda e tutelarlo in ogni sede «ove l’iniziativa fosse davvero perseguita in ragione dell’evidente contrarietà di tale progetto, tra l’altro, alla Costituzione e al Trattato Ue».

Il messaggio è chiaro: approvare il decreto avvierebbe una battaglia legare che, a prescindere dall’esito, impedirebbe l’approdo rapido di Fuortes al San Carlo. Lo stallo blocca i piani di Fratelli d’Italia sulla Rai, con Roberto Sergio che avrebbe dovuto occupare il ruolo di ad e Giampalo Rossi quello direttore generale, e blocca pure i lavori per definire i prossimo palinsesti. L’operazione culturale della Meloni è in un pantano, condizione che non dispiace a Lega e Forza Italia, attivamente impegnati a sabotare le mire dell’alleato su tuti i tavoli sulle nomine.

L’assedio di FdI è così pressante da far passare in cavalleria il governatore De Luca, che ha tagliano il finanziamento di 2 milioni di fondi Poc al Lirico partenopeo (stessa cifra cassata anche al Teatro Nazionale di Napoli). Motivo: ci sono altre realtà da sostenere (emittenti Tv, operatori teatrali, gli eventi di Montevergine tra quelle elencate). Per Luci d’artista di Salerno e il teatro Verdi, sempre nella città del governatore, nessuna sforbiciata. Cosa c’è dietro a queste decisioni l’ha spiegato lo stesso De Luca: un solo rappresentante regionale nel cda dello Stabile, un solo posto del cdi del lirico. Se la regione finanzia deve decidere, il ragionamento. Addirittura, durante il primo mandato a Palazzo Santa Lucia, De Luca cercò di convincere i parlamentari campani Pd a promuovere una legge nazionale che eliminasse i sindaci da presidenti delle fondazioni lirico-sinfoniche.