Teatro e cinema, la scommessa di un incontro «aperto»
Rassegne Si chiudono oggi a Ravenna i «Parlamenti di aprile» ideati dal Teatro delle Albe
Rassegne Si chiudono oggi a Ravenna i «Parlamenti di aprile» ideati dal Teatro delle Albe
Tutto comincia dal bisogno di incontrarsi, di ritrovare quel tempo per sé e per gli altri che gli impegni, le prove, i viaggi intorno al mondo avevano piano piano eroso. E che invece per il Teatro delle Albe è sempre stata molto importante, è ciò che li ha resi negli anni una realtà viva, un riferimento prezioso per le nuove generazioni della scena italiana, per gli spettatori. Basta passare un pomeriggio al Rasi, la loro sede nel centro di Ravenna, per capire che tutti coloro che lo frequentano ne sono (e se ne sentono) parte, una rete di legami consolidati con quella terra come la lingua e la poetica di Ermanna Montanari e di Marco Martinelli che ne intrecciano la storia, la bellezza blu, oro, ocra dei mosaici bizantini, la cultura della campagna, i sentimenti antichi e contemporanei.
COSÌ sono nati i «Parlamenti di aprile», un seminario organizzato ogni volta su riflessioni legate anche al lavoro della Albe la cui ispirazione sembra rimandare più alla polis greca che al parlamento italiano come lo vediamo oggi nelle dirette streaming. Il pubblico trova posto senza gerarchie nella sala Mandaye N’Diaye del Rasi, a lanciare gli spunti della discussione ci sono i «parlamentari», studiosi e artisti mentre gli «extraparlamentari», giovani, studenti, critici o attori, moltiplicano gli argomenti con osservazioni e domande.
Quest’anno il tema è stato «Teatro e cinema» a partire da un libro curato da Oliviero Ponte di Pino e Rosalba Ruggeri, Teatro e cinema, un amore non (sempre) corrisposto che si interroga sugli «anfibi», creature e opere che frequentano schermi e palcoscenici. Una relazione antica, appunto, e molto discussa, che continua a suscitare domande e che si può affrontare da numerose prospettive in un senso e nell’altro, cercando le tracce del cinema o meglio dell’immagine in movimento sulle scene – da Falso Movimento ai Motus a Fanny& Alexander per citarne solo alcuni – o del teatro sullo schermo – Straub e Huillet, De Oliveira, Fassbinder, Schroeter. Nel passaggio dall’uno all’altro degli artisti, registi o attori – pensiamo a Mario Martone o a Pippo Delbono e ancora al Living di Beck e Malina davanti alla macchina da presa di Mekas in The Brig (1964), a Leo De Berardinis e Perla Peragallo con A Charlie Parker (1974) – o nella divisione (e nell’incontro) degli sguardi, critici e pubblico.
TRA I «PARLAMENTARI» c’erano i curatori del volume, Angelo Curti, Laura Mariani, Luca Mosso, ognuno con piste diverse per una trama vasta, che sembra impossibile esaurire e d’altra parte quello di dare risposte non sembra l’obiettivo dei «Parlamenti»: si preferisce invece aprire una riflessione che sposti un po’ le sicurezze, disegnando una trama in costante mutazione.
La domanda «Teatro e cinema» coinvolge le Albe alla prima persona visto che dopo diversi lavori documentari intorno alle esperienze degli spettacoli e dei luoghi in cui hanno preso vita, Marco Martinelli ha realizzato un lungometraggio, era un desiderio che coltivava da tempo tenuto da parte vista la diffidenza di Ermanna poco incline a vedersi/mostrarsi sullo schermo.
Ma il passaggio infine c’è stato, anche sotto la spinta e la necessità di rimettersi in gioco, di rinnovarsi nel confronto con un altro mezzo e perciò con un altro metodo di messinscena. Perché se all’origine di Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi c’è lo spettacolo omonimo e la protagonista è sempre Ermanna Montanari, il film non è la «ripresa» dello spettacolo ma a partire da lì lo ripensa dentro al cinema. Il teatro viene svelato, Martinelli e Montanari non vanno però in Birmania a filmare la vita della leader allora all’opposizione contro la dittatura militare: e quel che resta è lo stesso desiderio di cogliere una storia nella sua essenza profonda, di rileggerne il senso e il tempo.
Proprio l’esperienza personale, il fare, le «pratiche» all’origine di ogni intervento costituiscono la ricchezza di questi incontri; è ciò che permette di superare le convenzioni in una materia complessa, di compiere detour, di improvvisare. Le piste portano nella seconda giornata a Carmelo Bene, corpo totale dello spettacolo, voce, respiro, teatro, film, televisione, provocazione, dolcezza.
A RACCONTARLO ci sono Luisa Viglietti che insieme a lui ha lavorato e vissuto dieci anni, Enrico ghezzi e Marco Sciotto, autore del volume Un Carmelo Bene di meno (Villaggio Maori edizioni, 2014) più materiali di archivio, programmi, filmati amatoriali. Le passioni, e il vissuto permettono di smantellare quella monumentalizzazione che è il rischio sempre in agguato per figure come la sua, e rendono la sua arte al presente. Passaggio successivo Jacopo Quadri, montatore di cinema, frequentatore del teatro, col suo bel Lorello e Brunello, una storia in luoghi a lui cari, e che illumina la resistenza ostinata di due fratelli contadini in Toscana. Teatro e cinema non finisce qui, è un punto di partenza, e un modo per stare insieme. Oggi è una vera scommessa.
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