Teatro di Roma, la «nuova» stagione di De Fusco
Arte e politica Presentato il cartellone del 2024/2025, all’Argentina irrompe la contestazione. Manca coerenza in un programma quasi tutto Made in Italy e con pochissime donne, cadute di stile sulla precarietà di lavoratori e lavoratrici
Arte e politica Presentato il cartellone del 2024/2025, all’Argentina irrompe la contestazione. Manca coerenza in un programma quasi tutto Made in Italy e con pochissime donne, cadute di stile sulla precarietà di lavoratori e lavoratrici
La presentazione della nuova stagione del Teatro di Roma, avvenuta ieri di fronte a una nutrita platea all’Argentina, è stata un’occasione per veder deflagrare tutte le criticità – ormai croniche – che appartengono al teatro cittadino. E questo nonostante il clima di pacifica collaborazione tra la nuova direzione di Luca De Fusco, il presidente Francesco Siciliano, il Comune – presente ieri l’assessore alla cultura Miguel Gotor, la Regione – nella persona dall’assessore Simona Baldassarre – e il governo, con il Presidente della Commissione Cultura Federico Mollicone. Per circa un’ora e mezza è tutto un darsi pacche sulle spalle. «Siamo una squadra», chiosa Baldassarre, il cui discorso mescola luoghi comuni e posizionamenti ben precisi – «il teatro può rendere il mondo migliore, ma non deve avere colore politico». Un refrain che tornerà molte volte nel corso della conferenza.
De Fusco passa quindi a snocciolare il programma per la stagione 2024/2025, il cui slogan sarà «Più di un teatro». L’inaugurazione all’Argentina è riservata a Notte Morricone, regia e coreografia di Marcos Morau, dal 24 ottobre. De Fusco ha affermato di volersi impegnare per costruire «una casa» accogliente per la danza, ce lo auguriamo. Seguirà il Re Lear diretto da Gabriele Lavia, nuova produzione di TdR come Guerra e Pace diretto dallo stesso De Fusco e November di David Mamet, dove Chiara Noschese dirigerà Luca Barbareschi – che, dopo il fallimento dell’Eliseo, nel teatro romano sembra uscire dalla porta e rientrare dalla finestra. Le novità, c’è da dire, latitano – nonostante un maggiore investimento quest’anno tanto del Comune quanto della Regione – e le numerose riprese sembrano pensate per accontentare un po’ tutti. Previste due regie di Popolizio (I ragazzi irresistibili di Neil Simon e Il ritorno a casa di Pinter), due lavori della compagnia israeliana di danza Vertigo Dance Company, i Sei personaggi diretti da Binasco, l’arrivo a Roma dal Piccolo di Ho paura torero diretto da Claudio Longhi. Chiude Sarabanda di Bergman con la regia di Andò e la ripresa, a due anni di distanza, del costosissimo Lazarus di Bowie e Walsh diretto da Malosti.
LE CRITICITÀ più evidenti: una sola donna alla regia su tredici spettacoli – «li ho scelti in base all’interesse e non alla “lottizzazione”», afferma con termine improprio De Fusco; una sola compagnia straniera, israeliana – «spero non saranno contestati per questo», si augura giustamente il direttore, ma tanto si parla nel corso della presentazione di antisemitismo mentre nemmeno una parola viene spesa per il massacro a Gaza.
Il programma dell’India è più misto, con un’identità poco coerente, totalmente «made in Italy» e anche qui sono molti gli spettacoli già visti. Ci saranno comunque alcuni artisti e artiste del contemporaneo, dai Biancofango ai Muta Imago, da Liv Ferracchiati a Leonardo Lidi e Davide Enia. Si segnala inoltre un omaggio ad Annibale Ruccello, di cui verranno messi in scena tre lavori. Il Teatro Torlonia, infine, sarà casa della letteratura e ospiterà anche Cinzia Spanò e Elena Arvigo. Due artiste che hanno spesso criticato la gestione maschilista e poco limpida dei teatri italiani. Ma questo non basta a bloccare la contestazione che si manifesta alla fine della presentazione. Prima con le domande dei giornalisti, poi con l’irruzione dell’assemblea costituente dei lavoratori e delle lavoratrici dello spettacolo «Vogliamo tutt’altro». Il primo tema ad essere sollevato è quello del Teatro Valle, a cui i relatori continuano a fare riferimento ma senza fornire una data effettiva di apertura. Incalzato, Gotor afferma che l’inaugurazione dovrebbe avvenire a giugno 2025.
MA È SUL TEMA della precarietà – parola che non convince De Fusco, che dice: «Tutti noi teatranti siamo precari», solo che lui guadagnerà 150.000 euro all’anno per i prossimi cinque, oltre alle regie – sul tema della precarietà si diceva, e del lavoro, assistiamo ad autentiche cadute di stile. Innanzitutto con la liquidazione, con poche parole di circostanza, dei lavoratori e delle lavoratrici che hanno segnalato abusi, sessimo, mobbing all’interno del teatro: «Siamo garantisti», e questo è tutto. E poi quando De Fusco si vanta di aver assunto molte donne quando era direttore a Napoli – «e quasi tutte hanno subito avuto una gravidanza». Frase che si commenta da sé. Infine, il collettivo «Vogliamo tutt’altro» ricorda di aver sempre criticato lo sdoppiamento della carica di direttore – con cui i partiti hanno capitalizzato la protesta di gennaio all’indomani della nomina di De Fusco – e tuttavia, della figura di direttore generale al momento non c’è traccia. L’era della destra egemone a Teatro di Roma è ufficialmente cominciata.
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