Lavoro

Tavolo regionale contro il lavoro nero. Nuove ispezioni e sanzioni

Tavolo regionale contro il lavoro nero. Nuove ispezioni e sanzioni

Puglia Camusso: «Criminale chi usa i caporali, ma con la legge attuale non si può intervenire sulle imprese». I sindacati: «Il lavoro agricolo attende risposte»

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 11 settembre 2015

All’indomani della morte del bracciante Arcangelo De Marco, ieri mattina l’assessore regionale al Lavoro Sebastiano Leo ha convocato un incontro con le associazioni datoriali e le organizzazioni sindacali del settore agricolo sulle iniziative di contrasto al fenomeno del caporalato e del lavoro nero in Puglia. Presenti Confagricoltura, Cia, Coldiretti, Coopagri e Legacoop, Flai Cgil, Uila Uil e Fai Cisl. «Sono soddisfatto dell’esito della riunione, tutte le parti hanno convenuto sulla necessità di attuare nell’immediato azioni efficaci che riportino la legalità e il rispetto dei diritti contrattuali nelle campagne pugliesi – ha detto l’assessore a margine dell’incontro-. Pertanto, per contrastare il lavoro nero, è stato già fissato per il 22 settembre un tavolo tecnico, coordinato dagli assessori al Lavoro e all’Agricoltura, per la piena applicabilità delle Legge 28».

Sul caso De Marco l’inchiesta è coordinata dalle Procure di Matera e di Trani. Questo perché, in un primo momento, si riteneva che il bracciante tarantino si fosse sentito male ad Andria, mentre nelle ore seguenti si appurò che era al lavoro nelle campagne materane. La Procura lucana è pronta a disporre l’autopsia sul cadavere dell’uomo per fare luce sulle cause del malore. Parallelamente continuano le indagini sulla situazione contrattuale dell’uomo: in un primo momento la Flai Cgil aveva dichiarato che De Marco fosse assunto presso la Quanta di Brindisi, stessa agenzia interinale di Paola Clemente, la bracciante tarantina deceduta il 13 luglio nelle campagne di Andria. Invece è stato appurato che nei giorni del malore il bracciante non fosse assunto né nel suo paese né altrove. Dunque, per conto di chi lavorava? E con quali garanzie?

Ma il decesso del bracciante tarantino, il quinto di questa torrida estate pugliese nei campi, è l’ennesimo segnale, se mai ce ne fosse ancora bisogno, di come il mondo agricolo abbia bisogno di un cambiamento radicale. Del resto, come sottolinea la Flai Cgil Basilicata, «i fenomeni sono conosciuti nei minimi particolari grazie alle denunce del sindacato, alle inchieste della stampa, agli accertamenti degli organi competenti, ma non si riesce a contrastarli ed eliminarli del tutto. Se su 20 aziende controllate, 17 sono risultate irregolari a vario titolo; se su 98 lavoratori, 35 sono risultati irregolari o al nero, significa che siamo di fronte ad una situazione ’recuperabile’ solo attraverso una risposta dura dello Stato», sottolineano dal sindacato. Che come la sezione pugliese, spiega quanto sia importante indagare anche su quali siano i rapporti tra le agenzie di somministrazione di manodopera e la rete dei caporali esistenti sul territorio interregionale, «per tentare perseguire quel pezzo di criminalità organizzata che si infiltra subdolamente e produce uno smisurato volume di affari illegale. Il lavoro agricolo attende risposte, perché non si può morire per 30 euro al giorno, stroncati dal caldo e dalla fatica, perché non si può lavorare per 10 ore consecutive in tendoni infuocati per ingrassare le agro mafie o i caporali, perché non è più tollerabile la percentuale di evasione contributiva e fiscale registrata nel settore».

E’ tornata a chiedere interventi urgenti al governo anche la segretario nazionale della Cgil Susanna Camusso: «Chi usa i caporali è un criminale – ha dichiarato la leader della Cgil -. Conosciamo bene il fenomeno perché facciamo sindacato di strada e conosciamo queste persone invisibili. Nel 2011 facemmo una campagna contro il caporalato e riuscimmo a far varare la legge attuale, ma manca una parte ovvero non si può intervenire sulle imprese che usano il caporalato».

Infine, proseguono a tappeto i controlli delle forze dell’ordine in tutta la Puglia. Nella zona di Nardò, in provincia di Lecce, dove a fine luglio morì il tunisino Mohamed, sono state ispezionate sei aziende, di cui cinque operanti nel settore agricolo, e un agriturismo, e identificate 54 persone. Gravi le irregolarità riscontrate in un’azienda agrituristica, al cui proprietario sono state elevate sanzioni amministrative con contestuale provvedimento di immediata sospensione dell’attività.

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