Visioni

Tavernier: «Il passato? A volte può illuminare il presente»

Tavernier: «Il passato? A volte può illuminare il presente»Bertrand Tavernier

Incontri Ospite al festival europeo di Lecce il regista francese, parla di cinema e identità culturali

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 16 aprile 2015

In attesa del Leone d’oro alla carriera alla prossima edizione della Mostra di Venezia intanto Bertrand Tavernier riceve a Lecce, l’Ulivo d’oro al festival del cinema europeo (13-18 aprile). Se il cinema europeo ha un’identità, Tavernier ne è stato protagonista, con i suoi interpreti appartenenti a una borghesia che si interroga e a volte si macera, con i suoi film che affrontano le grandi problematiche. E con quei suoi attori che hanno dato un volto agli «europei» come Philippe Noiret, di cui fa un ritratto appassionato per la sua cultura e humour e la capacità di calarsi subito in qualunque personaggio proprio come faceva anche Mastroianni «senza grandi processi psicanalitici come sono soliti far gli attori americani per concentrarsi».

Gli ricordiamo un suo film in particolare, La morte in diretta, la fantascientifica storia (nel 1980) di una telecamera impiantata nel cervello: oggi ci sono occhiali che possono riprendere: «Quando ho girato questo film, ci dice, pensavo ingenuamente di fare un film di fantascienza. Quindici anni dopo è diventato un film neorealista e oggi tutti hanno una telecamera. Questa facilità potrebbe anche significare un aumento della stupidità. In Francia ci sono studenti che picchiano i professori, si filmano per testimoniare il fatto e vengono condannati. Se qualcosa abbiamo imparato dal classico gangster film francese, è che Jean Gabin non lasciava certo tracce in giro. Oggi vanità e irresponsabilità porta a lasciare traccia dei propri delitti. In questo c’è un ritardo nell’educazione francese perché non prende in carico lo studio delle immagini. La sola risposta ufficiale sull’educazione nazionale è di svilupparla attraverso i computer».

Uno dei suoi ultimi film, la Princesse de Montpensier (2010) non è neanche stato distribuito in Italia: «È un film sulle guerre di religione in Francia, sui massacri dei cattolici contro i protestanti in nome dell’amore di Dio, un soggetto moderno perché penso che il passato possa illuminare il presente. La protagonista costretta a sposare un giovane che non conosce è un personaggio che oggi incontriamo in parecchi paesi, nella religione islamica, ebreo ortodossa, tra i mormoni o tra i protestanti fondamentalisti. Neanche la Rai non lo ha trasmesso ed è un peccato perché le nostre due cinematografie si sono sempre aiutate, gli ultimi film di Fellini sono state coproduzioni francesi, c’è sempre stato un accordo, ma dopo Berlusconi le cose si sono bloccate».

A Venezia nella sezione classici proporrà alcuni film scelti espressamente: «In ogni paese ci sono almeno cinquanta film poco conosciuti, di questi scrivo di solito nel blog scd, la società degli autori. Presento, scrivo, spiego, così come faccio al festival Lumière di Lione. Sono film come Le desordre de la nuit di Gilles Grangier, L’entraineuse di Albert Valentin con Michèle Morgan, film di Decoin, Duvivier». Dei suoi registi preferiti parlerà anche in una serie che sta preparando per Gaumont e Pathé dove torna il nome di Becker («il più grande? certo tra i più grandi»). La polemica ormai sopita a favore degli autori stigmatizzati dalla nouvelle vague si fa diretta oggi nei confronti del piano Junker sul digitale volto a distruggere il diritto d’autore e le produzioni indipendenti (e a favore delle grandi compagnie multinazionali). Tavernier chiede espressamente, come ha già fatto Marco Tullio Giordana, un maggior impegno dei cineasti italiani, chiama a raccolta Moretti, Amelio, Bellocchio, chiede che si uniscano ai Dardenne, a Schloendorff per spiegare a quei commissari di Bruxelles cosa rappresenta il cinema.

A Lecce è stato presentato in anteprima anche il suo ultimo film Quai d’Orsay, una straordinaria commedia intraducibile dal francese per le sfumature di arroganza e sottintesi, tratto dai fumetti di Lanzac & Blain, protagonista un ministro degli esteri, «un incredibile personaggio che intorno a sé crea il caos senza accorgersene e nonostante questo produce un’energia tale nelle persone che lavorano per lui da produrre il più bel discorso mai fatto nella politica francese. Era un modo per comprendere come funziona l’ufficio del ministro dove le persone lavorano enormemente, giorno e notte, persone che hanno altissime capacità intellettuali». «Abbiamo avuto bravi ministri e pessimi – dice – a destra e a sinistra, a parte quel certo ministro degli esteri che in missione a Gerusalemme, osservando la cartina delle deportazioni, constatò con sorpresa che in Inghilterra, stranamente, non ce n’erano state».

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento