Professor Giuseppe Berta, all’indomani del naufragio del matrimonio Fca-Renault lei al manifesto pronosticava la necessità di «un’alleanza con Psa che «può avere un interesse». L’hanno ascoltata?
Era prevedibile. E questa volta la cosa andrà in porto e il motivo ha un nome: Carlos Tavares.

Il professor Giuseppe Berta

Il manager che ha riportato Psa in attivo e che sarà il ceo della nuova società nata dalla fusione paritaria. Lei lo considera così decisivo?
Sì. Tavares nel mondo dell’auto è il manager più agguerrito e quello che ha avuto i risultati migliori in questi anni. È una figura accostabile a Marchionne come carattere e visione con in più una specializzazione e una passione per l’auto che il manager canadese non aveva. In più Marchionne era un grande solista, Tavares sa costruire una squadra di manager che lavorano per lui.

Tavares ha già fatto un’alleanza che Marchionne voleva e non riuscì a fare 10 anni fa: quella con Opel. Ora Psa si fonde con Fca. Una doppia diluizione fra produttori europei che erano concorrenti nei segmenti delle auto utilitarie…
Beh, sì. Ma in dieci anni il mondo dell’auto ha avuto una trasformazione disruptive, come dicono gli americani. Le alleanze funzionano più fra simili che fra aziende complementari. Marchionne l’alleanza la voleva fare con General Motors che non ha mai voluto e che ora punta tutto sull’elettrico, motivo per cui ha proposto un contratto molto innovativo che ha portato a 6 settimane di sciopero. Un fatto enorme passato sotto silenzio in Italia.

Fca aveva necessità di allearsi, John Elkann in persona si è speso per trovare un partner. Come prevede andrà con Psa?
Gli Agnelli avevano fretta tanto che John Elkann su Renault non aveva neanche avvertito Manley – che difatti aveva venduto le sue azioni per guadagnarci. La fretta sembra ce l’avesse anche Tavares visto che ha riconosciuto una plusvalenza da 5 miliardi agli Agnelli, tanto che il mercato sta punendo Psa per questo. Ma i conti si fanno alla fine e Tavares in cambio dei soldi si è assicurato la guida ferma della nuova società.

Passiamo alle dolenti note. Le sovrapposizioni fra stabilimenti europei sono inevitabili. E il governo francese è azionista di Psa. Quali sono gli stabilimenti italiani più a rischio?
Cerchiamo di partire dalle cose positive. Psa non ha marchi di lusso e di alta gamma e quindi Alfa Romeo e Maserati dovrebbero essere rilanciati. Se Melfi è lo stabilimento più sicuro perché fa Jeep per gli Stati Uniti dove Psa non c’è, le cose più negative sono per il polo elettrico appena annunciato a Torino: la 500 elettrica e ibrida conviene farla con le piattaforme di Psa che sono molto più avanti. Allo stesso modo Pomigliano rischia anche se il Suv Alfa annunciato la salvarebbe. Tavares nel 2025 vuole produrre solo auto ibride e elettriche. Se mantiene la parola, le più a rischio sono le aziende di componentistica: per fare l’elettrico servono molti meno pezzi.

In tutto questo il governo italiano è quasi silente e il tavolo sul settore convocato il 18 da Patuanelli è partito molto a rilento.
Dire che “questa è un’operazione di mercato” come ha fatto Patuanelli è una ovvietà senza senso. Certo che è un’operazione di mercato ma gli altri governi – anche quello tedesco che tiene a Opel – sono intervenuti e interverranno in modo forte. Noi siamo in ritardo pazzesco, mentre il tavolo sull’auto fatto con 200 interlocutori è solo una passeggiata per sfilare se non prende decisioni subito per affrontare una riconversione epocale diventando un coordinamento di scelte nazionali con idee e fondi adeguati lasciando spazio a intese locali sul territorio.

Secondo lei fra 10 anni gli Agnelli saranno ancora nel mondo dell’auto?
Già oggi lo sono molto meno e meno esecutivi. Nell’accordo di fusione non si capisce se si sono impegnati a starci 5 o 7 anni. Ma se Tavares garantirà redittività non hanno più l’urgenza di uscire. Gli altri settori non tirano molto.