Tav o migranti, la dittatura dell’ignoranza
Fuori dal tunnel In 30 anni di opposizione al progetto insensato è cresciuta in Valsusa una cultura che sa spiegare perché il tunnel non va fatto e il collegamento con quel che accade nel mondo
Fuori dal tunnel In 30 anni di opposizione al progetto insensato è cresciuta in Valsusa una cultura che sa spiegare perché il tunnel non va fatto e il collegamento con quel che accade nel mondo
La dittatura dell’ignoranza è il titolo di un libro in versi di Giancarlo Majorino che ho preso in prestito alcuni anni fa per designare il «liberismo» o «neoliberismo» del giorno d’oggi. Ignoranza, perché il neoliberismo è una rappresentazione della realtà falsa, che impedisce di vedere e capire quello che ci sta intorno, a partire dalla natura stessa del sistema in cui siamo immersi; che non è l’economia di un mercato concorrenziale, ma un regime estrattivo e predatorio in mano a un numero infimo di padroni della Terra, basato sull’accaparramento di risorse naturali, finanziarie e umane attraverso una competizione sempre sorretta dal sostegno finanziario e politico di uno Stato.
Dittatura perché questa visione si è ormai imposta da tempo come «pensiero unico», travalicando l’ambito delle discipline e delle attività economiche per imporre una «cultura» della competizione universale che non lascia spazio alla solidarietà e promuove il servilismo verso chi è più ricco o potente di te.
CHE QUESTA FORMA estrema di ignoranza abbia offuscato le menti tanto di chi la promuove quanto di chi la subisce è stato confermato anche dalla riunione degli industriali, rappresentati da ben dodici associazioni di categoria, che martedì scorso si sono riuniti a Torino per impiccarsi tutti insieme al cappio del Tav Torino-Lione; in questo preceduti da una manifestazione di cittadini, in gran parte ignari di che cosa fosse la «cosa» che erano stati convocati a sostenere da sette signore torinesi, peraltro ignare quanto loro.
Ne hanno dato prova in televisione, una per dire che delle questioni tecniche, economiche e ambientali relative al Tav non sapeva niente, né era interessata a saperne alcunché, essendo il progetto stato approvato da un Parlamento di deputati, peraltro altrettanto ignari quanto loro; l’altra, verosimilmente anche lei digiuna di cognizioni sulla «cosa», aveva però ottenuto da una giornalista compiacente l’assicurazione che sì, era lì per parlare in favore del Tav – e di che altro, se no? – ma che delle ragioni di quel progetto non si sarebbe dovuto discutere. Cosa che la giornalista ha imposto togliendo regolarmente la parola a chi cercava di entrare nel merito. L’oggetto di del «dibattito» doveva quindi essere solo «andiamo avanti», o «l’Italia deve ripartire»: tema ricco di articolazioni, rappresentate da altrettante Grandi opere inutili, ma molto costose: quelle che sono state al centro dell’incontro degli industriali, nessuno dei quali sembra disposto a mettere dei soldi suoi su uno di quei progetti, pur sostenendo che sono tutti molto redditizi.
NESSUNO DI LORO ha d’altronde rilevato come il Tav Torino Lione sia la quintessenza di quel capitalismo finanziario, estrattivo e predatorio – e parassitario nei confronti dello Stato – che si maschera dietro il termine neoliberismo. Nessuno ha provato a esaminare gli impatti ambientali e sociali di un progetto – o di tanti progetti – di cui colgono soltanto la dimensione immediata dell’affare. E caso ha voluto, poi, che la loro adunata si svolgesse all’indomani dell’apertura della conferenza di Katowice sul clima, dove gli esperti danno solo più dodici anni di tempo per un’inversione di rotta senza la quale l’intero pianeta sarà condannato a un disastro irreversibile. Tra dodici anni il tunnel della Torino Lione, se mai si farà, non sarà ancora pronto, ma avrà già ampiamente contribuito al disastro; e allora, di che cosa stiamo discutendo?
FATTO STA che l’ignoranza promossa dal pensiero unico ha finito di guastare la mente di tutti: quella dei signori degli affari a spese dello Stato, ma anche quella del gregge che li segue; che in gran parte è convinto che Salvini, su cui ripone sempre più la propria fiducia, li libererà degli immigrati, mentre quello spalanca le porte di Sprar e Cas per riempire le strade di altre migliaia e migliaia di disperati senza tetto, nè cibo, né identità. Come è convinto che quel tunnel serva a «unirli all’Europa», proprio mentre quello lavora per rendere irreversibile il distacco. In tanta miseria le uniche a mostrare una coscienza ecologica sono state le «madamine» del 10 novembre: una di loro ha infatti invitato gli abitanti della Valsusa a procurarsi una mucca o una pecora a testa e andare a pascolare in un’altra valle, senza più disturbarle a Torino, evidentemente convinta che la Valsusa non sia che un‘estensione naturale del quartiere Crocetta.
Se tra i SiTav l’ignoranza è orgogliosamente sventolata – a partire dalle scuole, dove le sette madamine sono impegnate a propagare il verbo dell’«andiamo avanti e schiantiamoci» – le comunità della Valsusa si sono invece messe in grado di insegnare a tutti come sottrarsi a quella tirannia. Perché in trent’anni di opposizione a quel progetto insensato è andata crescendo tra di loro una cultura diffusa che ha reso quasi ogni abitante della valle capace di spiegare le ragioni economiche, tecniche, sociali e ambientali del perché quel tunnel non vada fatto, ma anche, con i tanti incontri del progetto «il Grande cortile», di interessarsi a ciò che succede nel mondo, a partire dagli incombenti cambiamenti climatici di cui nulla sanno, invece, perché nessuno li ha informati, i partecipanti all’adunata SiTav; e anche a costruire un embrione di economia sostenibile sorretta dal coinvolgimento di tutta la valle. Dunque, NoTav o barbarie.
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