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Tartarughe marine e complessità

Tartarughe marine e complessità – Reuters

Cina Aggressivi, individualisti, oppure propositivi e attivi: sono le nuove caratteristiche delle nuove generazioni di giovani cinesi

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 27 gennaio 2014

Quando uno vive in Cina, riceve spesso richieste bizzarre da amici e amici di amici che stanno in Occidente. Qualche tempo fa, lo scrivente è stato contattato da una mediatrice culturale statunitense, di origine ucraina, che lavora all’università di Chicago.

Dato che la maggior parte dei suoi studenti sono cinesi, lei aveva deciso di farsi un giro oltre Muraglia per capire almeno da che razza di mondo venissero. «Perché mi tocca ammetterlo – ha spiegato poi, arrivata in Cina – i ragazzi cinesi sono quelli che mi mettono più in crisi: non partecipano alle attività collettive e mostrano un totale disinteresse per i programmi non strettamente finalizzati all’acquisizione di informazioni utili a fare carriera. Uno mi ha chiesto di essere esonerato da un’attività semestrale di gruppo il giorno prima che si concludesse. È stato lì a soppesare la situazione per tutto il tempo, senza partecipare o sollevare obiezioni per migliorare il lavoro collettivo, e alla fine ha concluso che non voleva averci nulla a che fare». Che brava lei. E che antipatico lui.

In cinese, gli studenti di Iaroslava – questo è il nome della mediatrice di Chicago – si chiamano hai gui, cioè quelli che tornano in Cina dopo avere studiato oltremare; ma grazie alle omofonie di cui la lingua è ricca, hai gui può anche significare tartaruga di mare. Le tartarugone, che si fanno impollinare metaforicamente negli States per poi tornare a seminare uova sulla spiaggia patria, sono molto probabilmente anche jiuling hou, cioè nati negli anni Novanta, la seconda ondata di cinesi «anomali» dopo i loro fratelli maggiori baling hou, cioè quelli nati negli anni Ottanta.

Sono le prime due generazioni (o forse una generazione sola, fate voi) figlie delle «riforme e aperture» inaugurate da Deng Xiaoping a fine anni Settanta. Un nuovo prodotto antropologico, un’opera alchemica, risultato di due epocali scelte politiche: il controllo delle nascite e l’economia di mercato.

Nel contesto tradizionalmente familistico, comunitario (per non dire collettivista) della società cinese, con i ba-jiuling hou fa irruzione l’individualismo più sfrenato. La politica del figlio unico crea tanti piccoli xiao huangdi – piccoli imperatori – che godono dell’affetto e delle attenzioni di due genitori e quattro nonni in quanto unica speranza di continuare la linea familiare, che per i cinesi è un vero e proprio sostituto della salvezza religiosa.

È di questi giorni la notizia che il miliardario di Hong Kong Cecil Chao Sze-tsung ha offerto in dote un miliardo dei locali dollari – quasi cento milioni di euro – all’uomo che riuscirà a convincere la propria figlia Gigi Chao, lesbica dichiarata, a sposarlo. Datemi un erede maschio, che diamine.

L’eccessivo investimento moltiplica le attenzioni, per di più in un contesto capitalista, dove avere successo in termini molto tangibili (carriera, denaro) è tutto. Ecco i soldi per studiare all’estero ed ecco le tartarughe di mare dell’università di Chicago, così viziati da ostentare insofferenza per ciò che li annoia o non sembra utile.
Ma è troppo facile farla finita qui. È invece più corretto parlare di strati che si accumulano nella personalità dei nuovi cinesi.

Una volta tornati in patria, i giovani che hanno respirato il clima occidentale, il che significa soprattutto Usa (dove l’anno scolastico 2012-13 ha registrato un più 21 per cento di immatricolazioni provenienti da oltre Muraglia), entrano nel mondo del lavoro e scoprono per esempio di essere più propositivi e aperti dei loro colleghi rimasti in Cina. La cura americana è servita.

Elizabeth Rowland, una businesswoman statunitense che dopo anni d’esperienza nel Celeste Impero ha fondato un’agenzia di consulenza per imprese straniere che intendono sbarcarvi, racconta l’aneddoto di uno stagista cinese presso un’agenzia Usa che inondava il capo di proposte quotidiane ed esternava arrogantemente la propria frustrazione quando non venivano recepite, spesso per mancanza di tempo o energie.

Ma d’altra parte, continuano a esserci ba-jiuling hou che all’estero non ci sono andati e sono ancora legati a uno stile di comunicazione indiretto. Oppure «tartarughe marine» che, tornati in patria, si adeguano al vecchio stile, molto spesso anche per non voler sembrare troppo sopra le righe, hai visto mai che mi brucio la carriera? E poi differenze territoriali – i cinesi metropolitani sembrerebbero più propositivi di quelli di provincia – culturali e, infine, individuali. Proprio come da noi.

I corsi di mediazione culturale per chi si accinge a fare business in Cina – venduti generalmente a peso d’oro – illustrano perciò solo una parte della realtà. Vi si apprende per esempio che quando un collega o un partner in affari cinese vi dice bu fangbian (non è conveniente), non significa necessariamente che quella cosa non si fa in quanto scabrosa o vergognosa. Semplicemente, potrebbe non avere voglia di farla; oppure, che «parliamone domani» vuol quasi sempre dire «lascia perdere».

Quanto a «studieremo la questione» o «ci penseremo sopra», ebbene, vi stanno dicendo che la persona di più basso livello nella gerarchia riferirà ai superiori; quindi, vi toccherà tornarci su, altrimenti la vOstra idea/proposta si perderà lungo la scala gerarchica e non avrete mai risposta.

Tutto verissimo, per carità, e diciamo che con le generazioni precedenti si andava sul sicuro: gerarchia, deferenza e linguaggio indiretto, tutte caratteristiche made in China che si impara a conoscere e gestire con un bel corso di mediazione culturale. E via.
Ma oggi è più facile passare senza soluzione di continuità, schizofrenicamente, dalle antiche caratteristiche all’aggressività più spinta, in un quadro di competizione sfrenata.

I più moderni corsi di mediazione culturale raccomandano perciò di mantenere concetti come «comunicazione indiretta», «piccoli imperatori» e «tartarughe marine» (di segno tra loro diverso) come background, per poi invece porsi in una posizione di ascolto e afferrare l’individualità della nuova forza lavoro cinese. Segno di una Cina sempre più complessa, dove ciò che un tempo fu massa è ora moltitudine.

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