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Taro-Capa, istantanee anni Trenta di amore e di guerra

Taro-Capa, istantanee anni Trenta di amore e di guerraGerda Taro e Robert Capa fotografati da Fred Stein nel 1936

Biografie romanzate Gerda Taro, compagna di Robert Capa, fu la prima fotoreporter caduta su un campo di battaglia, durante la Guerra civile di Spagna: «La ragazza con la Leica» di Helena Janeczek (Guanda) ne ricostruisce la drammatica storia

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 28 gennaio 2018

Tutti sanno chi è Robert Capa, mentre ben pochi sanno chi è Gerda Taro. Gerda Taro è lo pseudonimo di Gerta Pohorylle, la fotografa nata in Germania nel 1910 da una famiglia di ebrei polacchi e morta nel ’37 durante la guerra di Spagna, che stava seguendo con l’intento di documentarne gli orrori. La sua relativa notorietà è però dovuta al sodalizio con l’ungherese Endre Ernö (André) Friedmann, un rapporto intensissimo di natura sentimentale e professionale, che diede vita al marchio Robert Capa: i due infatti si alternavano negli scatti e presentavano i loro lavori senza che fossero distinguibili le singole individualità. La morte precocissima colse la giovane fotoreporter (la prima caduta sul campo di battaglia) a ventisette anni, a Brunete, 25 chilometri da Madrid, dove era in corso una delle più cruente battaglie della guerra civile spagnola: Gerda fu travolta da un carro armato amico, mentre fotografava gli scontri e incitava i compagni di fede all’azione rivoluzionaria. I compagni giornalisti e reporter che erano accorsi in difesa della repubblica assediata avevano portato con sé le armi proprie del loro mestiere: penne, macchine fotografiche, cineprese.

Chardack «Il Bassotto»

Per raccontare di Gerda Taro Helena Janeczek ha messo in piedi un romanzo (La ragazza con la Leica, Guanda «Narratori della Fenice», pp. 335, € 18,00) costruito come un polittico: ha suddiviso il materiale in tre parti, tre storie narrate secondo il punto di vista degli amici della fotoreporter e di André, ovvero Capa. Le sezioni sono dedicate a Willy Chardack «Il Bassotto» (uno studente di medicina che diventerà poi in America un famoso cardiologo, noto soprattutto per la messa a punto del pacemaker); a Georg Kuritzkes, membro della Lega degli studenti socialisti: entrambi erano stati fidanzati di Gerda, la quale esercitava su tutti un fascino irresistibile, frutto di esuberanza, spavalderia e sprezzo delle convenzioni; una sezione riporta poi la voce di Ruth Cerf, l’amica del cuore, quella con cui condividere le passeggiate per le strade di Parigi, quando entrambe erano troppo povere per permettersi il lusso del metrò.

La vita di Gerda si offre per lampi rapidissimi, a cominciare da quando, studentessa a Lipsia, subisce l’arresto per attività antinazista e se la cava ostentando un abito di buona fattura e una ingenuità da ragazza di buona famiglia. A distinguerla c’erano la fierezza e l’ottimismo di un carattere che di fronte alle avversità le faceva pronunciare la sua frase preferita: «Non demoralizziamoci!». Negli anni ottanta, a Buffalo, così Chardack ricorda la sua antica fidanzata: «Era volubile e volitiva, un metro e mezzo di orgoglio e ambizione, senza tacchi». Era stata Gerda a trovare lo pseudonimo anche per Capa, ed è Gerda a maneggiare la preziosa Leica, quella che «Life» aveva affidato a lui e con cui ora Gerda sta scattando le ultime foto, prima di essere sbalzata a terra. Dopo quel momento tutto acquista il colore della tragedia e gli amici e gli ammiratori della giovane fotografa porteranno il ricordo della sua morte come la cicatrice di una mutilazione. Capa, annientato dal dolore, diventerà lo spettro di se stesso.

Janeczek si rivolge a lettori che suppone informati sulle vicende della Taro e di Capa e procede per affondi nell’immaginare come quella coppia sia stata vista e vissuta dall’esterno. Esattamente come una macchina fotografica o una telecamera, l’autrice si avvicina ai testimoni e interroga il deposito dei loro ricordi con l’intento di far venire fuori un ritratto di Gerda e insieme di quegli anni cruciali, durante i quali si consumarono le prove generali della seconda guerra mondiale. Viene confermato che il sodalizio professionale e umano Taro/Capa fu di intensità e brevità fulminanti. Le fotografie incluse nel romanzo (fresco vincitore del Premio Bagutta 2018) colgono infatti due giovani legati da un’intesità profondissima seduti a un caffè di Barcellona, ma quello che viene trasmesso dalle immagini e dalla narrazione è la drammatica consapevolezza di quanto momentanea fosse tutta quella felicità. Quegli attimi di tranquillità e di gioia vitale stavano per essere spazzati via per sempre dalla guerra e dalle tragedie che ne sarebbero derivate, per i due fotoreporter, per i miliziani e per l’Europa tutta.

Il punto di vista della narratrice resta ancorato all’occhio dello strumento, i movimenti di macchina compiuti per catturare i dettagli anche minimi non fanno che rammentare costantemente al lettore che quella è una narrazione, una ricostruzione a posteriori e che ogni storia è storia raccontata da un testimone al quale viene affidato il compito di tenere in vita ciò che è stato e non è più. Esattamente come la fotografia, che coglie il soggetto in quell’attimo unico e irripetibile perché mai nessun dopo sarà come il prima. E se questo è lo spirito che ha guidato la composizione di questo documentatissimo libro, il compito che Janeczek ritiene proprio della Letteratura è analogo a quello del reportage di guerra, catturare le immagini e le storie e portarle fuori dal campo di battaglia, fuori dal destino di morte cui sono condannate la maggior parte delle vicende umane.

La foto del miliziano

Nell’Epilogo i fili tenuti separati nel corso della narrazione vengono a ricongiungersi parzialmente, e acquista rilievo l’appassionata vicenda di Cornell Capa, intento a dirimere la questione che da un certo punto getta un’ombra sulla figura del fratello. È noto che di recente sono stati sollevati molti dubbi sull’autorialità di quella che è la fotografia più nota di Capa, quella del miliziano colpito e ripreso nell’istante che precede la morte; e nella parte finale del romanzo si tenta di ricostruire i movimenti delle foto e dei negativi sottratti alla furia nazista, affidati a terzi e poi fortunosamente ritrovati, senza che però sia possibile dire una parola definitiva sulla questione. Dunque il polittico si apre intorno a uno spazio che resta vuoto per molti aspetti. Di Gerda, di Capa, dei loro amici e compagni e di quel che avvenne in quegli anni tremendi abbiamo istantanee mute, e del passato rimane una cassetta di foto da leggere e delle quali tentare di identificare soggetti, luoghi e talvolta anche autori.

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