Tarkovskij nella “zona”
Mosfil'm L'attività del regista in Urss tra ostacoli e successo internazionale
Mosfil'm L'attività del regista in Urss tra ostacoli e successo internazionale
Figlio d’arte – il padre era il grande poeta russo Arsenij – Andrej Tarkovskij ha imparato il mestiere di regista all’Istituto statale di cinematografia (VGIK) di Mosca, la prima scuola istituita per l’insegnamento delle arti filmiche, fondata da Vladimir Gardin nel 1919. Il suo incredibile talento e l’attenzione all’aspetto immaginifico si rivelarono presto, con i primi lavori che gli permisero di diplomarsi (Gli uccisori, tratto da un racconto di Ernest Hemingway, e Non cadranno foglie stasera) e che lo accompagnarono sotto l’ala produttiva della Mosfilm. Le visioni oniriche presenti ne Il rullo compressore e il violino (1960), il mediometraggio che conclude il suo percorso di formazione, anticipano L’infanzia di Ivan (1962), l’opera con cui Tarkovskij si presenta al pubblico europeo e che getta le basi dei suoi tratti distintivi: il linguaggio visivo poetico e sognante, la ricerca simbolica e la dimensione metafisica cominciano a inseminarsi nel suo sguardo registico. Il film si distacca dall’ottimismo e dall’immaginario realista stalinista, raccontando il dramma della guerra dal punto di vista di un ragazzo rimasto orfano che agisce soltanto per l’odio nei confronti di chi ha ucciso i suoi genitori. Tarkovskij vince il Leone d’oro a Venezia e mette a disagio il regime sovietico, che lo accusa di disfattismo e di eccessivo pessimismo.
La sua ambizione artistica, unita alle risorse produttive di cui può servirsi, lo portano a realizzare l’imponente Andrej Rubliov (1969), biografia del pittore russo vissuto tra il 1370 e il 1430 strutturata da un punto di vista narrativo in otto episodi ordinati ma nettamente separati tra di loro, accomunati dai tormenti del protagonista sui suoi ruoli di monaco religioso e artista creativo e dalla descrizione di una terra dilaniata dall’invasione dei tartari, dalla separazione conflittuale tra le dinamiche del potere e il sentimento del popolo, dall’afflizione della pestilenza. Tarkovskij non evita di nascondere i parallelismi con la Russia del suo tempo, suscitando l’entusiasmo della critica al Festival di Cannes e ottenendo di essere proiettato in tutta Europa. Soltanto nell’Unione Sovietica, infatti, il film viene osteggiato, ma riesce incredibilmente a ottenere un buon successo alla sua uscita nel 1972, nonostante fosse proibito alla stampa di dedicargli articoli e recensioni, e di comunicare ai lettori in quali sale venisse distribuito.
Gli inizi degli anni Settanta segnano una svolta per Tarkovskij, la cui vena innovativa è tale da smarcarsi dall’insofferenza per le limitazioni culturali che gli vengono imposte dalla politica, verso la quale ha compromesso ogni genere di sostegno e simpatia: l’uscita di Solaris registra una tappa fondamentale nell’evoluzione e nella profondità della fantascienza a livello mondiale. Seppur frettolosamente etichettata come la risposta sovietica a 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, l’opera è ancora oggi riconosciuta come un capolavoro ineguagliato per la sua riflessione sulla perdita delle emozioni, sull’inevitabilità della morte e sull’impossibilità di emanciparsi dal passato, dalla nostalgia e dal ricordo. Nessuno prima di Tarkovskij aveva utilizzato il genere fantascientifico per porre interrogativi di lettura così trasparente sull’intimità della natura umana, rendendolo un laboratorio struggente di idee e di suggestioni.
I problemi del regista con l’ostracismo del governo tornarono a manifestarsi nell’autobiografico Lo specchio (1974), in cui affronta in maniera diretta la storia russa recente, dall’assedio di Leningrado ai drammatici scontri nel 1969 sul fiume Ussuri tra i soldati sovietici e i manifestanti maoisti per l’occupazione dell’isola di Damanskij. Da quel momento, il cinema di Tarkovskij si fa ancora più contemplativo e filosofico, interessato sempre più alla dimensione pittorica, costretto gradualmente ad allontanarsi dall’Unione Sovietica: Stalker (1979), Nostalghia (1983) e Sacrificio (1986) sono gli ultimi lavori di un autore radicale e rivoluzionario, contrario alla concezione di cinema come impianto dinamico e industria d’intrattenimento.
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