Lavoro

Taranto, la guerra fra poveri degli operai in «cassa»

Taranto, la guerra fra poveri degli operai in «cassa»Il presidio degli operai Arcelor Mittal sotto l'acciaieria a Taranto

L'Acciaieria Tensione al presidio fra gli operai e fra sindacati confederali e di base che chiedono la riconversione. E intanto la politica è sparita

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 10 giugno 2020

Grande tensione ieri mattina al presidio davanti alla direzione dello stabilimento siderurgico di Taranto, in concomitanza con lo sciopero indetto da Fim, Fiom e Uilm in tutti gli stabilimenti ArcelorMittal in Italia. Mentre era in corso l’incontro in videoconferenza convocato dal ministro Patuanelli sulla proposta del nuovo piano industriale della multinazionale, all’esterno della fabbrica i lavoratori si sono confrontati con toni accesi. Al centro delle discussioni le iniziative da prendere, il ruolo del sindacato e della politica in una vertenza che dura oramai da troppi anni. I contrasti si sono registrati tra i lavoratori delle tre sigle confederali, dell’Usb e della FmlCub, da tempo su posizioni distanti: i primi chiedono il rispetto dell’accordo del 6 settembre 2018, che prevede zero esuberi e investimenti pari a 4,2 miliardi; l’Usb invece, dopo aver disconosciuto quell’accordo precedentemente firmato, chiede la chiusura delle fonti inquinanti e l’utilizzo dei lavoratori nelle bonifiche del siderurgico, attraverso la sottoscrizione di un Accordo di programma. Posizione che trova l’appoggio anche della FmlCub. In mezzo si ritrovano da un lato migliaia di lavoratori non sindacalizzati: oltre la metà degli 8.200 dipendenti diretti a Taranto infatti non è iscritto a nessun sindacato, che non sanno più cosa aspettarsi da una vertenza apertasi nell’estate del 2012. Disperazione che riguarda molto più da vicino i 1.800 lavoratori che due anni fa non furono assunti da ArcelorMittal, venendo confinati in Ilva in amministrazione straordinaria per essere utilizzati nelle bonifiche delle aree interne ed esterne del siderurgico, rimaste sotto la gestione della struttura commissariale. Per loro, nell’accordo del settembre di due anni, era prevista la possibilità di ricevere un’offerta di lavoro da ArcelorMittal entro il 2023. Eventualità che già nell’accordo di modifica sottoscritto lo scorso 4 marzo tra azienda e struttura commissariale venne meno. E che ora non sanno quale futuro li attende.
Certamente tutti i lavoratori di Taranto sono accumunati dalla cassa integrazione: oltre 5mila a tutt’oggi sono a casa, con uno stipendio base di 8-900 euro con il quale non potranno di certo convivere a lungo.
In tutto questo la città sembra quasi assente. Sembrano lontanissimi gli anni delle manifestazione a difesa della salute e dell’ambiente. Difficoltà che registra anche la politica locale, con il sindaco Rinaldo Melucci che da mesi chiede al governo un’inversione di tendenza, che parla di un’Ilva più piccola, più sicura, più pulita attraverso una riconversione produttiva che guardi ai forni elettrici e all’idrogeno. Chi invece è totalmente scomparso da mesi dai radar, è il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano. Dopo anni di durissime polemiche, si è chiuso in un silenzio totale. Troppo poco per chi attende dalla politica soluzioni serie e durature nel tempo.

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