Il ricatto di Mittal: scudo penale e 5mila esuberi per restare
Levata di scudi L’azienda pone condizioni pesantissime. Possibile un decreto sulle tutele legali. Ma sui lavoratori «richieste inaccettabili»
Levata di scudi L’azienda pone condizioni pesantissime. Possibile un decreto sulle tutele legali. Ma sui lavoratori «richieste inaccettabili»
Se il film dovesse fermarsi a ieri mattina la partita Ilva sarebbe chiusa con il ritiro di ArcelorMittal. In realtà si tratta di una trattativa a muso duro nella quale il ripristino dello scudo penale è solo il punto di partenza. Perché ci sia la possibilità, non la certezza, di un ripensamento deve essere rivisto anche il Piano aziendale. Devono esserci 5mila esuberi o casse integrazione. Questo infatti significa in concreto la richiesta, avanzata da Mittal, di abbassare sino a 4 milioni di tonnellate i livelli produttivi. Poi naturalmente c’è il nodo dolente dell’altoforno 2, quello preso di mira dalla magistratura. I tempi brevissimi fissati dai giudici per la messa in sicurezza devono essere dilatati estendendo la facoltà d’uso per almeno 14-16 mesi. Va da sé che sullo scudo penale Mittal esige stavolta una legge chiara e definitiva, accompagnata da garanzie politiche esplicite.
È UN RICATTO. È la lista di condizioni poste da chi sente di avere in mano il coltello dalla parte del manico. Per il governo e per la maggioranza la scelta è tra le più difficili. La chiusura dell’Ilva implicherebbe un disastro di vastissima portata. Oltre 50mila posti di lavoro a rischio e una mazzata tra l’1,2% e l’1,4% del Pil secondo Svimez. Senza contare la possibilità, per la Germania, di fissare a proprio piacimento il prezzo dell’acciaio. La resa, perché questo significherebbe accogliere per intero le richieste di Mittal, vorrebbe dire non solo ammettere che le aziende sono in qualche misura al di sopra della legge ma anche mettere a rischio la sopravvivenza del governo.
LA CARTA CHE CONTE e il Pd provano a giocare è una legge di carattere generale, tale da fare scudo a tutte le imprese impegnate in operazioni di bonifica. La prima proposta in campo è stata quella di passare per un disegno di legge e non per un decreto. Vorrebbe dire affrontare subito un iter parlamentare incertissimo, dal momento che l’M5S dovrebbe accettare la resa incondizionata e dovrebbero adattarsi alla genuflessione anche i 35 parlamentari che, guidati dalla ex ministra per il Sud Barbara Lezzi, erano almeno sino a ieri mattina decisi a tutto pur di bloccare lo scudo penale. Anche alla crisi di governo. Il tutto, per quanto assurdo sembri, senza alcuna garanzia che la trattativa con Mittal arrivi a buon fine. Ma è probabile, quasi certo, che alla fine prevalga la scelta del decreto, che concede qualche tempo in più prima di affrontare il momento della verità, con la conversione in legge.
SUGLI ESUBERI, INVECE, il governo fa quadrato. «È un’ipotesi che non si può neppure prendere in considerazione», dicono chiaramente alcuni ministri. E Conte lo ripete in conferenza stampa dopo un cdm durato più di tre ore: «Non è neppure ipotizzabile. Per noi è scattato un allarme rosso, ci siamo resi disponibili a aprire una trattativa negoziale 24 ore su 24», aggiunge comunque il premier che oggi incontrerà i sindacati. La trattativa con Mittal si svolgerà con la pistola puntata alla tempia. Il nuovo appuntamento con i vertici della multinazionale potrebbe essere fissato per lunedì prossimo. Saranno comunque giorni di passione, per di più sotto il fuoco incrociato dell’opposizione e di un sistema mediatico che prende di mira le oscillazioni del governo in carica e di quello precedente glissando però sulle responsabilità di chi ha scelto la cordata AncelorMittal e ha offerto proprio quelle garanzie di impunibilità che ora la multinazionale rivendica. Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo all’epoca, apre al contrario il fuoco: «Ilva è diventata l’ora del dilettante. Politici che non hanno mai lavorato fuori dal parlamento fanno chiudere la più grande fabbrica del sud».
SIN DALLE PRIME ORE di ieri è stato chiaro che la situazione era difficilissima. Quando la folta delegazione del governo italiano guidata da Conte e composta dai ministri dell’Economia, dello Sviluppo, del Lavoro, del Sud, della Salute e dell’Agricoltura e dal sottosegretario Turco ha incontrato Lakshmi e Aditya Mittal, padre e figlio, ceo e direttore finanziario dell’azienda, la multinazionale aveva già comunicato ufficialmente la decisione di disdettare l’accordo e restituire la gestione ai commissari. L’atto di citazione sulla rescissione del contratto era già stato depositato presso il Tribunale di Milano. I due dirigenti indiani volevano sedersi al tavolo con la pistola già carica. E’ in questo clima da gang armate che si deciderà la sorte di decine di migliaia di operai e di un’intera città.
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