Visioni

Tao Dance Theater, l’incanto del movimento

Tao Dance Theater, l’incanto del movimentoNumerical Series) di Tao Dance Theater – courtesy La Biennale di Venezia © Andrea Avezzù

A teatro Il Leone d’Argento alla compagnia fondata da Tao Ye, Duan Ni e Wang Hao, ha chiuso la Biennale Danza

Pubblicato circa un anno faEdizione del 5 agosto 2023

Aperto con il Leone d’Oro alla carriera Simone Forti, il 17°Festival di Danza Contemporanea della Biennale di Venezia, Altered States, si è chiuso sabato scorso con il Leone d’Argento 2023, Tao Dance Theater da Pechino. La compagnia, fondata nel 2008 da Tao Ye, Duan Ni e Wang Hao, al Malibran in due diverse serate con una prima italiana e due prime europee da Numerical Series, lascia negli occhi la scia di una ricerca ipnotica, un rigore di indagine in cui si sente tuttavia scorrere l’innamoramento senza fine per il corpo umano e le sue potenzialità.

LA MOTIVAZIONE del Premio, letta nella cerimonia di consegna del Leone d’Argento dal direttore del festival Wayne McGregor, al suo terzo anno in laguna, sottolinea non a caso la fiducia della compagnia «nel puro potere del movimento, con tutto il suo potenziale ed espressività latenti». Tao Ye, a Venezia insieme alla moglie Duan Ni, danzatrice di formazione e ideatrice dei costumi della compagnia, spiega: «la danza pura ci ha permesso di trovare uno spazio di ricerca illimitato. Mi interessa l’essenza del corpo, è la nostra vita». Entrambi hanno danzato con il Jin Xing Dance Theatre di Shanghai, Duan Ni ha approfondito l’incontro tra la cultura di danza cinese e la danza contemporanea occidentale ballando a Londra con Akram Khan e, a New York, con la Shen Wei Dance Arts.
Tao Ye e Duan Ni hanno messo a punto con i loro danzatori un metodo di ricerca, il Circular Movement System, un processo di studio che si accosta al corpo in modo circolare, in estensione e contrazione per un flusso ininterrotto. Curiosa l’idea che sta alla base di Numerical Series: un insieme di tante creazioni, ognuna delle quali si intitola con il numero dei danzatori coinvolti. Nella serata che abbiamo seguito al Malibran il Tao Dance Theatre ha proposto 11. Creazione in bianco e nero, 11 è esemplare nella fedeltà a un pensiero e a una scelta esplorativa. Una fila di undici persone disposte verticalmente, una camminata che attraversa inesorabilmente il palcoscenico scandita dalla voce e da un ritmo musicale. La fila presenta un’unità, ma anche una continua variazione nel moto: i danzatori definiscono lo spazio secondo una coreografia fissa nelle gambe, ma nella parte superiore dei corpi la fila si apre e chiude con libertà come un fiore di svariati petali. Abiti neri con inserti bianchi rivelano l’andamento circolare del movimento, tecnica in cui è evidente anche l’influsso dell’acrobatica danza cinese tanzigong. La fila verticale mai scompare totalmente, anche se da essa si distaccano danzatori che tuttavia, nei loro momenti solistici, non tradiscono il flusso della camminata in orizzontale. Un Leone d’Argento con un perché. Tra le tante proposte del festival Altered States, una bella energia appartiene all’Acosta Danza, al Piccolo Arsenale con Ajiaco, nome che rimanda a una zuppa tradizionale cubana, fatta di variegati ingredienti come lo è lo spettacolo. Fondata nel 2015 all’Avana da un ballerino di fama mondiale quale è il cubano Carlos Acosta (da rivedere il film sulla sua vita Yuli), la compagnia è formata da talentuosi danzatori il cui stile fonde con sapidità il calore latino del modern cubano con il classico e altre tecniche fino all’hip hop.

«Ajiaco – De punta a cabo» di Alexis Fernández, courtesy La Biennale di Venezia © Andrea Avezzù

QUATTRO I PEZZI presentati a Venezia, esemplari della duttilità della compagnia che passa dall’espressività pantomimica di Micaela Taylor (Performance) all’affondo sensuale e animalesco del potente Faun (Duet) di Sidi Larbi Cherkaoui, raccontandoci Cuba attraverso il Garcia Lorca di Javier de Frutos (98 Días) e il festoso, quasi un musical, De Punta a Cabo del cubano Alexis Fernández, per sfondo in proiezione le luci e i colori del Malecón all’Avana. Una nota a parte merita infine il lavoro della Biennale College Danza, di deciso spessore anche quest’anno. Colpisce in particolare il lavoro fatto da Brigel Gjoka e Riley Watts che hanno ampliato per i sedici danzatori del College l’indimenticabile Duo del 1996 di William Forsythe, pezzo nato in origine per due danzatrici e poi ripreso per gli stessi Gjoka e Watts in A Quiet evening of dance nel 2019.
Il risultato veneziano è Duo (2023, extended), un miracolo di elaborazione e trasformazione della struttura coreografica e di movimento originale, la lucidità del saper variare i moduli nello spazio-tempo, facendoli passare da un danzatore all’altro, in uno slittamento di formazioni che si compongono e scompongono. Un pezzo da non lasciar morire, che ci auguriamo Gjoka e Watts possano rimontare anche altrove.

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