Visioni

Talk Talk, anonimia e perdita ai confini del pop

Talk Talk, anonimia e perdita ai confini del popI Talk Talk, 1984 – foto Getty images

Note sparse Senza chitarra ma con mille idee, Mark Hollis & co. hanno rappresentato al meglio gli anni ottanta

Pubblicato 8 mesi faEdizione del 6 marzo 2024

I Talk Talk sono un ensemble del nord di Londra senza chitarra, capitanati dall’ombroso vocalist Mark Hollis, che è anche autore o coautore di tutte le canzoni. Ottengono un contratto con la Emi, grazie alla freschezza dei loro brani. Ma il produttore che l’etichetta assegna loro è Colin Thurston, lo stesso dei Duran Duran. Finisce che l’esordio della band, The Party’s Over (1982), prodigo di organo e synth, soffre di una produzione troppo dura, secca, che li fa apparire, soprattutto agli occhi della stampa musicale, come cloni tecnocratici dei Duran. Ma va detto che nella loro musica vi è anche un che di tenero, ingenuo, primaverile, che si fa sovente drammatico e accorato. Il lavoro ottiene un discreto successo, ma Hollis è stanco di essere accomunato ai New Romantic, con cui ha poco da spartire. Prende allora come collaboratore fisso, coautore e musicista di studio il creativo produttore Tim Friese-Greene. Inoltre cerca di far apparire il meno possibile immagini del gruppo, in una sorta di volontario esilio nell’anonimato.

Nel box «The Broadcast Collection 1983-1985», le Bbc session dal vivo

SORRETTO da languidi anthem, il seguente It’s My Life è un disco pop suonato come se fosse jazz. La malinconia impressionistica della voce di Hollis si intreccia a synth elegiaci per lasciarsi andare a meditative maree di emozioni. Le liriche si fanno ancora più introspettive e spesso colgono inattesi spunti da scene di frustrazione sentimentale. L’album ha successo in Europa, più moderatamente anche negli Usa, ma in Inghilterra è quasi ignorato. The Colour Of Spring (’86), con numerosi ospiti tra cui l’idolo di Hollis, Steve Winwood, ha ritmiche più post-jazz che pop, che accompagnano il grandioso librarsi di sonorità vivide, percussive, perlopiù acustiche. Altrove, in un mood wyattiano, vi è un attento spargersi di suoni balbettanti e luminosi seminati con una sensibilità jazz. I testi sui problemi di coppia servono qui come spunti di riflessione sull’esistenza.

NONOSTANTE l’estrema bellezza del materiale, la Emi chiede un singolo. Hollis e Friese-Greene scrivono allora l’assertiva ma eminentemente musicale Life’s What You Make It, forse la canzone più famosa dell’ensemble, che fa esplodere l’album (questa volta anche in patria) sino a fargli vendere 2 milioni di copie. I successivi Spirit Of Eden (’88) e Laughing Stock (’91) si avvicineranno, sia pure in una modalità più lo-fi, al jazz, al blues trasfigurato, alla contemporanea, rendendo i Talk Talk una sorta di entità misteriosa e spirituale e anticipando il post-rock. Dopo averci regalato un omonimo ipnotico album di debutto, nel ’98, Hollis continua a vivere ritirato dal mondo, finché un male non lo uccide nel febbraio 2019, a soli 64 anni.
È uscito un box di 3 cd, The Broadcast Collection 1983-1986, contenente una Bbc Session del 1983 e concerti radiotrasmessi da varie location europee, sino all’anno 1986, coprendo il periodo che giunge a The Colour Of Spring. Il tutto dalla buona qualità sonora.

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