Economia

Taglio Irpef e spending review, il Cdm insiste sull’austerità

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Tagli Via libera delle Camere al rinvio del pareggio di bilancio al 2016. Oggi sarà approvato il decreto: 620 euro nel 2014 ai dipendenti, nel 2015 saliranno a 960, i famosi 80 euro al mese. Le camere approvano il Def che non prevede il calo dei senza lavoro né la crescita, ma «risparmia» su scuola e sanità, blocca i contratti per la riduzione delle tasse

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 18 aprile 2014

Il parlamento ha approvato lo spot elettorale di Renzi sulla riduzione dell’Irpef da 620 euro per i redditi tra i 17.714 euro e i 24.500 euro nel 2014. L’importo va spalmato sugli otto mesi che mancano alla fine dell’anno e vale circa 80 euro al mese. Nel 2015 si avrà un taglio del 5% per i redditi fino a 19 mila euro, 950 euro per la fascia tra i 19 mila e i 24.500 euro. Le camere hanno approvato a maggioranza assoluta anche il rinvio del pareggio di bilancio al 2016 richiesto dal ministro dell’Economia Padoan alla Commissione Ue a causa della «fragile ripresa», per il pagamento di ulteriori 13 miliardi per i debiti della P.A e un incremento del saldo netto da finanziare di circa 20 miliardi nel 2014.

Al Senato il provvedimento è passato con 170 voti: 162, più 8 «extra», cioè il leghista Roberto Calderoli, 5 senatori di Sinistra Ecologia e Libertà e 2 ex Movimento 5 Stelle. Al Senato, questo voto è stato attaccato dalla destra che ha denunciato il «soccorso rosso» di Sel ad un governo senza maggioranza. In realtà, con 162 voti, Renzi la maggioranza ieri ce l’aveva. Sel ha spiegato il suo voto «per motivi tecnici – ha detto Giulio Marcon nel suo discorso alla Camera – è un segno di disponibilità rispetto al paese e non verso il governo». E ha rinfacciato a Gelmini o Brunetta che l’attaccavano l’ipocrisia di avere votato con il Pd il Fiscal Compact e oggi ne denunciano la pericolosità. Il presidente della Commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia (Pd) ha elogiato il «senso delle istituzioni» di Sel. Quest’ultima sostiene di avere votato perché conduce un«’opposizione pragmatica».

Il Movimento 5 Stelle ha invece votato anche contro il rinvio e sostiene che Padoan abbia perso l’occasione di chiedere una deroga a tutti gli accordi europei sull’austerità. Il ministro ha detto ieri in aula che il rientro del debito pubblico al 60% sarà giù avviato nel 2015 anche se la crescita è allo 0,8% (in realtà è già allo 0,6%) e non certo al 3% come auspicato dal governatore di Bankitalia Visco. Le ganasce del Fiscal compact scatteranno nel 2016 e il governo dovrà tagliare 50 miliardi all’anno fino al 2036. Lo stesso Def ha smentito un altro degli effetti della crescita: il calo della disoccupazione. Resterà al 12% anche nel 2016.

Oggi il consiglio dei ministri approverà dunque un decreto inconsistente e ispirato alla filosofia dell’austerità espansiva: i soldi per finanziare il taglio delle tasse li preleverà dagli stipendi dei dipendenti pubblici. Oltre a 1,1 miliardi di tagli alla difesa, ci sono i 2,4 miliardi alla sanità in due anni. Molta attenzione è stata prestata al taglio degli stipendi dei manager, merito della potenza di fuoco della bolla mediatica creata da Renzi, molto meno sugli altri tagli che alimenteranno la depressione economica dovuta al crollo della domanda e ad una crescita che non produce occupazione. Il Def renziano prevede nuovi tagli a scuola e sanità per un calo complessivo di fondi dello 0,5% nei prossimi 15 anni. Il rispetto dei vincoli di bilancio sarà tra l’altro ottenuto anche grazie al blocco dei contratti per il pubblico impiego fino al 2017, mentre si profila un suo prolungamento fino al 2020. Con i tagli tra il 2006 e il 2012 il personale della scuola ha perso uno stipendio annuo da 30 mila euro.
Il paradosso che queste persone che dovrebbero ricevere il bonus pre-elettorale da 80 euro ne lasceranno molti di più allo Stato per il mancato aumento dello stipendio. Questo è l’unico elemento certo in una manovra dalle coperture traballanti, come hanno notato Bankitalia e la Corte dei Conti. I 7 miliardi di euro dalla spending review non sono affatto certi.

Senza contare che i presunti benefici in busta paga verranno cancellati dall’aumento della Tasi, oltre che dall’impostazione regressiva della loro distribuzione sulla platea di 10 milioni di persone: il 40% dei benefici andranno per 2/5 ai redditi alti, solo il 12% a un 1/5 dei redditi bassi, un’impostazione regressiva. Al momento, restano esclusi i pensionati, i precari e il lavoro autonomo che Renzi ha cancellato, ma non gli incapienti (solo 40 euro al mese). Gli alfaniani hanno promesso di salvaguardare gli autonomi, la sinistra Pd e i sindacati insistono per pensionati e incapienti. Nessuno sembra preoccuparsi dei fantasmi precari che una busta paga non ce l’hanno.

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