È stato il più pop dei compositori contemporanei; Sylvano Bussotti non ha mai negato la sua appartenenza a un mondo vasto della musica. E la testimonianza è non solo nella sua idea di composizione ma anche nei rapporti che nel corso del tempo ha intrattenuto. Non disdegnando i linguaggi musicali non strettamente legati alla musica contemporanea.

E non solo: il 23 ottobre 1991, all’interno della Biennale musica da lui diretta, in un convegno dal sibillino titolo La condizione del compositore oggi entrò in sala nientemeno che Moana Pozzi, la diva del porno e dell’erotismo che per Bussotti incarnava il senso della vera bellezza. E questo anche per sottolineare come non si sottraesse mai alle provocazioni nei confronti dei benpensanti. Anzi, era proprio quella una delle sue missioni principali.

COME A BROADWAY
Bussotti ha sempre messo ben in mostra la sua non appartenenza al circolo dei compositori italiani, anche se con alcuni di essi ha costantemente intrattenuto rapporti, a volte confidenziali, a volte tumultuosi.

A differenza dei colleghi intendeva la musica come un grande musical, e d’altronde le sue opere liriche, ad esempio il Lorenzaccio, erano talmente sontuose da essere paragonabili alle grandi produzioni di Broadway. Naturalmente era intransigente nell’uso della scrittura, legata sempre a una serie di stilemi che partivano dalle esperienze antiche per approdare a un caleidoscopico mondo di influenze, non ultime quelle dei suoi due maestri Luigi Dallapiccola e Max Deutsch. Ma non mancò di seguire ed essere solidale con la nuova idea di musica di John Cage che da Darmstadt aveva dimostrato come si potesse creare senza essere imbalsamati nei formalismi compositivi.

In questo fu sublime e fu grazie a lui che in Italia non solo l’idea di composizione improvvisata, ma l’idea di creare musica usando il possibile, oltre gli stilemi accademici, si affermò una nuova modalità di espressione e soprattutto di esibizione. Tant’è che musicisti come Giancarlo Cardini e Daniele Lombardi non esitarono a condividere quelle scabrose idee. Ma tra le presenze incredibili della sua vita, ne spicca una, la vera diva, Cathy Berberian in Berio, perché consorte fino ad un certo punto del compositore ligure Luciano Berio. P

er Bussotti, Berberian incarnava la vera idea pop di fare musica, pop nel senso estremo, di non condizionamento accademico. Non a caso proprio la cantante statunitense non disdegnava affatto di fluttuare fra esibizioni classiche e pop, come quando si esibì nelle interpretazioni delle canzoni dei Beatles. E non solo. Nella sua eversiva idea di cultura, Bussotti non mancò ancora una volta di scandalizzare il polveroso pubblico e i vertici della Biennale di Venezia, quando, sempre nel 1991, lui che legato al mondo delle immagini (da vedere assolutamente il suo film Rara), realizzò e presentò 5 Videogiornali della sestina 91, una sorta di metalinguaggio dove i personaggi protagonisti di questi short erano Maurizio Costanzo, Moira Orfei, Moana Pozzi, Patty Pravo, Alvaro Restrepo. Grida indignate si levarono dal pubblico, e in molti si alzarono abbandonando scandalizzati il teatro, anche alla prima di uno dei suoi capolavori La Passion selon Sade, nel 1965 al Teatro Massimo di Palermo.

Quell’opera, diretta discendenza pasoliniana, ebbe un travagliato iter, a iniziare proprio dal titolo che fu «censurato» perché non si poteva pensare alla Passione di Cristo associandola a un «blasfemo» individuo come il Marchese De Sade, autore ricercato e comunque vituperato di Justine o de Le 120 giornate di Sodoma.

NUOVA ACQUA

Insomma Bussotti non mancava di portare nuova acqua alla già appassita idea di musica contemporanea. Perché lui più di tutti aveva intuito e sapeva bene che lo strutturalismo nato dalle teorie di Schönberg non stava producendo quell’idea di rinnovamento tanto agognata dal compositore austriaco ma anzi si stava riducendo a una nuova accademia di regole e di strutture che spesso dimenticavano il vero senso della musica, della bellezza e della libera espressione. D’altronde le partiture di Bussotti sono spesso capolavori visivi, di una logica imbarazzante; leggere le sue composizioni è come ritrovarsi nei giardini di Alice. È vero che Bussotti non poteva non conoscere l’idea generatrice della libera composizione, quella cioè di Erik Satie che fu un attento «illustratore» dei suoi manoscritti. Ed è vero anche che il senso di futuro scritto nelle pagine di Giacomo Puccini fu talmente importante per Bussotti che l’artista ne divenne uno strenuo sostenitore.

D’altronde non a caso fu per diversi anni collaboratore e poi direttore artistico del Festival pucciniano di Torre del Lago che oggi ha probabilmente esaurito quella forza innovatrice e futuribile (memorabile fu l’allestimento con la regia di Bussotti, i costumi e le scene dello zio Tono Zancanaro della Turandot nel luglio 1985). Inoltre Bussotti ebbe uno stretto legame con il mondo della canzone quando fu nominato a giudicare se il brano di Al Bano I cigni di Balaka fosse stato o meno plagiato da Michael Jackson nella sua canzone Will You Be There.

PAZIENZA CERTOSINA

Ebbene questa disamina fu condotta da Bussotti con una pazienza certosina e una grande conoscenza dei linguaggi musicali del tempo. Concludendo che i pezzi in questione stavano nella tradizione antichissima delle melodie popolari che si ripetevano in diversi richiami simili, o come nella tradizione tutta italiana di compositori come Bellini o Rossini o Donizetti in cui i compositori spesso riprendevano da se stessi interi brani e non erano immuni da immettere nelle loro melodie motivi popolari.

La tesi di Bussotti metteva in luce che la musica popolare non ha confini e che è una il ritorno dell’altra. Così come capita nella creazione di qualsiasi opera. Bussotti divenne talmente popolare che addirittura la mitica rivista Frigidaire gli dedicò una copertina talmente pop da non avere eguali. E Bussotti fu l’unico compositore che ottenne tale popolarità. Con tutto che la sua musica non lo era per niente. Lo era la sua idea, aperta, dialogante, incredibile.

Per lui la musica era un mondo di infinite possibilità e allora perché dover demonizzare ciò che non è «classico»? Tutto ciò è dimostrato dalla sua ampia idea di fare il musicista che si coniugava con quella di pittore, regista, poeta, costumista e altro. È evidente che il fatto che non sia arrivato ai suoi 90 anni ha segnato per l’ennesima volta la sua diacronica presenza terrena.

A Firenze, che voleva omaggiarlo in occasione di quel compleanno (non festeggiato, è morto il 19 settembre, era nato il primo ottobre del 1931, ndr) non hanno mai pensato, tanto era grande il personaggio, a sopprimere 90Bussotti, i cinque giorni di festa (dal 20 al 25 settembre 2021) pensati per quell’occasione. Perché è il senso della festa che vive ancora nel ricordarlo. Negli anni è stato celebrato con diversi libri, sicuramente il più ricco di riferimenti è quello di Luigi Esposito, Un male incontenibile (Bietti), e ancora il recente Sylvano Bussotti: l’opera geniale (Maschietto Editore) di Renzo Cresti e Teatri Nascosti di Mario Evangelista (LoGisma Editore). Ricco dei suoi spartiti e di diversi interventi è il libro Sylvano Bussotti. Totale libertà (Mudima). Tutte tracce di un segno visibilissimo e immortale. In barba agli accademici di tutto il mondo.