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Swing e lustrini, la ballata di una «strana coppia»

Swing e lustrini, la ballata di una «strana coppia»

Musica Sul palco di Umbria Jazz Lady Gaga incontra Tony Bennett, un’alchimia perfetta. Con l'ottetto di eccellenza guidato da Mike Renzi, i due trasmettono pura emozione

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 17 luglio 2015

Seguite il flusso» è l’indizione del barista che con ghigno birichino spieg[a come arrivare all’Arena Santa Giuliana per l’evento monstre di Umbria Jazz 2015, dal cartellone piegato ormai da tempo alla contaminazione fra generi piuttosto che allo stile «puro» sacro a Coltrane. Ma si sa, il festival è anche indotto turistico e cosa più che la curiosa alleanza fra il re dei crooner Tony Bennett e la regina del pop dance Lady Gaga può attrarre pubblico? Come da copione biglietti esauriti (e in platea c’è chi scopre con sgomento di avere acquistato lo stesso posto di un altro spettatore), e fauna variegata assai. Convivono molto democraticamente la ricca sciura milanese in trasferta, i quattro trans che caracollano nella canicola perugina precipitando con nonchalanche da Corso Vannucci su tacco 12, agghindati con altrettanti look della diva, molti turisti americani e giapponesi e qualche sparuto jazzofilo venuto a saggiare la consistenza della «strana coppia».

 
Qualche dubbio più che lecito; perché il flop di Art pop, il terzo album di lady Germanotta, l’ha indotta giocoforza a misurarsi con ambienti diversi dalla dance tamarra che l’ha portata in trionfo planetario dal 2008 ad oggi. E quale migliore occasione l’incontro con Bennett? Detto fatto: un disco di standard per scalare le classifiche giusto in tempo per approfittare del florido mercato natalizio e portarsi a casa un Grammy Award, poi via in tour.

 
E il gioco va detto funziona, per l’ironia – lui 89 anni, lei 29 «siamo due ragazzi, ci separano giusto 60 anni» e il potente senso dello spettacolo. Lui dritto come un fuso in un impeccabile completo color panna e cravatta regimental, lei a sfoggiare un impressionante numero di cambi d’abito. É qui che in tripudio di parrucche, capi esclusivi dal lungo strascico, nude loook, maquillage colorati e fantasiosi, lascia emergere il lato baraccone e fetish dell’autrice di decine di tormentoni in 4/4 e si concede ai suoi fan: «My little monsters», «I miei piccoli mostri» li blandisce lei. Ma la scaletta messa a punto saccheggiando il songbook della canzone non solo americana (Bennett azzarda perfino ‘O sole mio…) è sacra e l’ottetto di musicisti che li accompagna è d’eccellenza, con a capo Mike Renzi – il pianista – autore di arrangiamenti essenziali e al contempo lussureggianti.

 
Si parte con Anything goes di Cole Porter e Cheek to cheek di Irving Berlin ed è chiaro il canovaccio della serata; Bennett dal timing impeccabile ma dall’ugola inevitabilmente arrochita dallo scorrere del tempo, lascia spazio alla vocalità sontuosa di lei. Strabordante a volte – come quando intona La vie en rose in completo rosa confetto omaggio a Marilyn, i riferimenti all’immaginario cinematografico hollywoodiano e alle sue dive si sprecano nel guardaroba di Stefani Joanne Angelina Germanotta, essenziale e glaciale in Bang Bang, giacca e pantalone con il fantasma di Lauren Bacall che aleggia sullo sfondo.

 
Prova a fare la modesta: «É bello essere a Perugia, voi siete appassionati di jazz e quindi vi domanderete cosa ci faccio qui. Magari potreste sentirvi ammaliati, importunati, smarriti» citando proprio la sinatriana Bewitched bored & bewildered di Richard Rodgers che intona sicura.

 
Vengono da mondi, culture e generazioni diverse eppure l’alchimia è perfetta. Si sfiorano, azzardano due giri di valzer ma l’effetto non è nonno/nipote; sono due fuoriclasse della scena e l’interpretazione di Nature boy, con il canto fragile e spezzato di Bennett a cui fa da contrappunto l’armonizzazione arabescata di Gaga, trasmette pura emozione.

 

 

Swing, lustrini, entrate e uscite ad effetto, ma sono proprio le ballate a dare la misura dello show: un filo di voce e una nota di pianoforte bastano a Bennett per trasfigurare In a sentimental mood di Gershwin. Seduta sul predellino flirtando con Renzi (Mike…), Lady Gaga s’immagina un po’ sbronza davanti al bancone di un bar di terz’ordine, calandosi nell’odissea di vita e passione del protagonista di Lush life, una «vita ad alto tasso alcolico» raccontata dal suo autore Billy Strayhorne nel 1933. Dimostrando nei cambi di registro e nell’intensità dell’interpretazione, di avere tutti i numeri per non restare per sempre relegata in una lussuosa certo, ma un po’ limitante, carriera da dance star.

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