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Swift: fine della governance globale?

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Nuova Finanza pubblica La rubrica settimanale a cura di Nuova Finanza pubblica

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 5 marzo 2022

Gli eventi storici riscrivono il lessico e gli forniscono nuovi termini e riferimenti. Se prima di dieci anni fa quasi nessuno sapeva cosa fosse lo spread, oggi la coscienza collettiva è costretta ad arrabattarsi per capire cosa sia lo Swift.
Il termine compare nel contesto delle sanzioni da infliggere alla Federazione Russa per punirla dell’invasione dell’Ucraina.
La base tecnica di essa fa capire quanto sia grande la posta in gioco.

Swift è l’acronimo di Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication, ed è descritto come un “sistema di pagamento”. I flussi di capitali viaggiano da banca a banca, ma esse come “comunicano” fra loro? La risposta è SWIFT, che quindi è una componente fondamentale degli scambi internazionali. A rigore non è un sistema di pagamento vero e proprio perché non maneggia fondi né amministra conti a nome di individui ed istituzioni. E’ una sorta di piattaforma di messaggistica per lo scambio delle informazioni necessarie ai flussi che serve oltre 11.000 istituzioni finanziarie attraverso 200 paesi ma anche un attore di regolazione di standard internazionali; una sorta di “internet dei servizi finanziari”, come scrivono S. Scott e M. Zachariadis nel loro testo ad essa dedicato. Tutti l’hanno usata senza sapere che esistesse, quale fosse una sorta di habitat naturale creatosi spontaneamente.

Perché se ne parla adesso? Perché le sanzioni economiche e commerciali inflitte a paesi come Cuba sono consistite nella proibizione legale da parte di chi le imponeva alle proprie aziende o a quelle di altri paesi di commerciare con essi, e con paesi relativamente marginali era abbastanza facile. In merito alla Russia si vorrebbe calcare la mano escludendola proprio dalle modalità tecniche di pagamenti, cioè impedire loro ogni scambio commerciale. La misura non solo è estrema ma danneggerebbe pesantemente le economie occidentali, in specie quelle europee.

In realtà non sarebbe del tutto impossibile agire tramite altri tipi di piattaforme. La stessa Russia ha iniziato a svilupparne una, e così la Cina, il cui Cross-border Interbank Payment System (Cips)è stato attivato dalla banca centrale cinese nell’ottobre del 2015, cui dopo qualche anno partecipavano, direttamente o indirettamente, 868 banche, il cui uso è stato offerto a Mosca. Chiaramente non sarebbe una soluzione compensativa sufficiente; è come per le chat di messaggistica telefonica, venendo esclusi da quelle più popolari come whatsApp si può ricorrere ad altre ma la propria capacità risulta severamente inficiata.

All’infrangersi della pretesa neutralità del sistema di pagamenti dominante (che si rivela essere invece pesantemente interno alle sovranità euroatlantiche) corrisponde una tendenza alla elaborazione di alternative ad essi, fra cui le famose blockchain, sorta di valute decentrate che aggirerebbero il ruolo della banche centrali, che infatti si sono messe a studiarle per sussumerle. Ed infatti il progetto russo era di sviluppare tale tecnologia per costruire un sistema parallelo a Swift – dato che dal 2014 si agitava la spada di Damocle della sua esclusione.

Le potenze occidentali faranno davvero tale passo? In alternativa ad un clamoroso dietrofront della Russia l’esito sarebbe una possibile frammentazione del panorama finanziario, specialmente se la Cina decidesse di supportare Mosca. A medio-lungo termine potrebbe configurare uno scenario da cortina di ferro con una divisione in zone geoeconomiche assai meno comunicanti di quanto non si sia visto finora. Sicuramente l’ideale di un mondo “piatto” dove si possa investire, spostarsi, commerciare ovunque, che alla lunga avrebbe inglobato nell’economia liberal-capitalista e nel parlamentarismo di mercato anche i paesi più marginali appare in crisi come mai lo è stato da decenni.

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