Svolta al Csm. Il «momento populista» anche tra i giudici. Ma non è una valanga
Consiglio superiore della magistratura Convergenza tra la destra di «Mi» e i renziani. Responso diverso da ciò che aveva lasciato intendere il clamoroso successo di Davigo
Consiglio superiore della magistratura Convergenza tra la destra di «Mi» e i renziani. Responso diverso da ciò che aveva lasciato intendere il clamoroso successo di Davigo
Sarà un Consiglio superiore della magistratura di centro-destra, ma avrebbe potuto esserlo ancora di più. Si è concluso definitivamente ieri lo spoglio dei risultati delle elezioni di domenica e lunedì, e il responso è in parte diverso da quello che aveva lasciato intendere il clamoroso successo di Piercamillo Davigo in lizza per uno dei due posti in quota Cassazione. La valanga dei suoi 2522 voti non si è ripetuta sulle schede che sceglievano i dieci giudici di tribunale e corte d’appello: i due candidati della sua corrente, la populista di destra Autonomia e indipendenza, hanno racimolato – sommati fra di loro – appena 975 preferenze. E dunque sia Giuseppe Marra (490) sia Ilaria Pepe (485) restano fuori, e i davighiani a Palazzo dei Marescialli saranno soltanto due: il líder máximo e il pm Sebastiano Ardita.
Rispetto alla pesante sconfitta subita nella quota Cassazione fanno meglio, invece, i centristi di Unicost e la sinistra di Area, sommando rispettivamente 2504 e 2214 preferenze, e guadagnando 3 seggi ciascuno. Stesso numero di posti conquistati anche dalla destra tradizionale di Magistratura indipendente (Mi), la corrente abbandonata polemicamente da Davigo tre anni fa, grazie alla somma di 1870 preferenze. Se per Mi il dato non si discosta in modo significativo da quanto registrato nella quota dei giudici supremi, la differenza è evidente per Unicost e Area: i rispettivi candidati di Cassazione Carmelo Celentano e Rita Sanlorenzo hanno raccolto molto di meno rispetto alla performance dei colleghi di primo e secondo grado. Al centrista Celentano mancano all’appello 790 voti, alla progressista Sanlorenzo 686. Perché? Nelle due correnti la discussione è già aperta, e non è da escludere che il chiarimento interno possa essere anche molto duro.
Certamente l’ex pm di Mani pulite ha goduto di una visibilità mediatica senza pari, grazie alla quale ha potuto ergersi a paladino delle toghe umiliate e offese dal governo Renzi su taglio delle ferie e responsabilità civile. Non solo: il generale «momento populista» che sta attraversando il Paese non risparmia la magistratura, insinuandosi anche in quelle sue file che politicamente dovrebbero esserne immuni. Ma la possibilità che sia accaduto qualcosa dentro le singole correnti c’è. Celentano e Sanlorenzo si collocano nella sinistra interna dei loro gruppi, e non si può escludere che siano stati vittima anche di un «fuoco amico».
Numeri alla mano, l’ipotesi che settori di Unicost e di Area abbiano boicottato i rispettivi candidati nel collegio Cassazione non è campata in aria. Nel caso della compagine progressista, balza agli occhi anche un altro dato: nella quota dei pubblici ministeri – dove in lizza per quattro posti c’erano quattro candidati, uno per gruppo – l’esponente di Area Giuseppe Cascini totalizza 1928 voti, cioè 400 in più della collega di corrente Sanlorenzo. Di nuovo una discrepanza che non può passare inosservata, e che forse si spiega con tensioni mai sopite fra alcuni settori dei due gruppi che hanno dato vita al progetto unitario di Area: la «storica» Magistratura democratica e il Movimento per la giustizia, nato negli anni ’80 su posizioni progressiste ma «post-ideologiche».
Chi certamente gongola è Mi, vera vincitrice di questa tornata. Ha retto bene l’urto della scissione di Davigo e si è tolta la soddisfazione simbolica di avere il pm più votato: Antonio Lepre con 1997 preferenze. La sua presa sulla parte più conservatrice e corporativa dell’ordine giudiziario è salda e a farle da sponda politica non c’è più solo la destra berlusconiana, ma anche il mondo renziano: Cosimo Ferri, uomo forte della corrente, siede alla Camera fra i banchi del Pd, fortissimamente voluto dall’ex segretario-premier dopo cinque anni di onorato servizio come Sottosegretario alla giustizia. Dal voto esce quindi un Csm che vede Mi mantenere i 5 consiglieri conquistati prima dell’abbandono dell’ex pm di Mani pulite, alla pari con Unicost (-1 rispetto al 2014), poi Area con 4 (un pesante -3) e i davighiani di Ai con 2. Gli altri 8 membri elettivi spettano al parlamento, chiamato a sceglierli in seduta comune il 19 luglio.
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