Svezia, il vecchio «paese avanguardia» pronto a invertire il corso della propria storia
Scenari post-elettorali Anche se l’economia è buona, aumentano le diseguaglianze tra la popolazione. A trarne profitto potrebbero essere le destre
Scenari post-elettorali Anche se l’economia è buona, aumentano le diseguaglianze tra la popolazione. A trarne profitto potrebbero essere le destre
Giungono pessimi segnali dalla Svezia. Anche qui nei sondaggi la destra nazional-populista straborda, e pare possa sferrare un doppio colpo letale al sistema politico. I socialdemocratici perderebbero il primo posto che detenevano senza rivali da quando, nel 1918, era stato introdotto il suffragio universale, rompendo il lunghissimo dominio di un voto censitario particolarmente retrogrado. Anche il maggiore partito liberal-conservatore, i Moderaterna, tracolla al 15%, ed è dubbia la presenza in parlamento di un altro partito di centro-destra come i Cristiano-Democratici, sotto la soglia di sbarramento al 4%.
A SINISTRA solo la formazione post-comunista Vänsterpartiet pare recuperare voti. Uno sconvolgimento, con gli Sverigedemokraterna primi al 25% e una situazione ingovernabile con qualunque parametro coalizionale finora immaginato. Per alcuni la storia europea è semplice: i nordici sono costituzionalmente pacifici, nonché tendenzialmente illuminati e progressisti, i mediterranei il contrario. La realtà è che fino agli anni 1920 l’emigrazione è stata obbligatoria per circa il 20% di una popolazione povera quanto la nostra, con un dominio di classe fortissimo e, fino agli anni ’30, la situazione sociale e sindacale più turbolenta in Europa, con conflittualità aspra e non di rado violenta.
LE COSE MUTARONO del tutto solo nel 1934, con l’accordo fra socialdemocratici e partito contadino, fino a quel momento molto conservatore se non reazionario. La questione sociale unì contadini e operai in un compromesso in cui la domanda interna degli uni costituì quella degli altri e viceversa. La grande depressione fu sconfitta e cominciò la storia della Svezia avanguardia socialdemocratica del mondo, fra il comunismo di cui rifiutava l’oppressione (anche e soprattutto operaia) e il capitalismo, in cui vedeva la diseguaglianza come ingiustizia non riparabile dalle libere elezioni.
Secondo qualificate misurazioni gli indici di eguaglianza così ottenuti finirono negli anni 1980 per essere i maggiori della storia, verosimilmente minori che nelle società comunitarie primitive. Ma con gli anni 1990 molto è cambiato, non per il meglio. Da allora l’incremento di diseguaglianza registrato ovunque è stato in Svezia il maggiore fra i paesi avanzati. La crescita annuale del Pil è molto buona, i surplus di bilancio e commercio estero nettamente positivi, ma si dimostra che se il segno positivo è importante, la qualità e la distribuzione ineguale della crescita e la fissazione per la riduzione del deficit sono letali, non solo per la sinistra. I socialdemocratici, al governo la maggiore parte del tempo dal 1991, dando la priorità ai conti pubblici non hanno davvero ribaltato le misure introdotte dai governi «borghesi» (1991-94 e 2006-2014).
L’ultimo governo di centro-destra, come molti liberal-conservatori e liberal-progressisti, ha ritenuto che precarizzazione del lavoro e riduzione del welfare a segnali di mercato (New Public Management) fossero compatibili con l’apertura verso centinaia di migliaia di profughi in aggiunta ad un 20% già presente di popolazione con retroterra non svedese. Famoso il discorso dell’ultimo primo ministro liberal-conservatore Reinfeldt, che descrivendo da un velivolo una Svezia con tanto spazio per innumerevoli nuovi arrivi esortava i connazionali: «aprite i vostri cuori». Proprio mentre l’incoraggiamento dell’utile individualistico assurgeva al massimo livello.
UN DATO INTERESSANTE: secondo uno studio del grande sindacato confederale LO (Högerpopulismen och jämlikheten: Populismo di destra ed eguaglianza) la diffidenza verso l’immigrazione non è aumentata. A crescere è la quantità di persone che la ritengono tema tanto prioritario da infrangere le lealtà politico-elettorali. Così, lo scatenamento d’intolleranza (dall’accondiscendenza per l’aggressività degli Sverigedemokraterna, ai linciaggi in rete di Durmaz, calciatore di origine aramaica reo di un errore ai danni della nazionale giallo-blu ai mondiali) potrebbe essere visto in modo nuovo.
Più che prendersela con la «ignoranza del popolo», come semplicisticamente si fa in Italia (ma il degrado avviene anche nella scolarizzata Scandinavia) la Svezia che va a destra mostra che i sindacati e i partiti come la socialdemocrazia riescono a «far riflettere» i propri elettori solo se le loro politiche rimangono centrali. Solo così la smettono di ritrarsi dal proprio spazio argomentativo, solo così riducono quello di altre argomentazioni ed ossessioni. D’altra parte, il centro-destra liberal-conservatore classico può vincere sgravi fiscali iniqui e privatizzazioni del welfare, ma solo finché il fondamento «socialdemocratico» rimane abbastanza cospicuo da bilanciarli.
Oltre questo limite anche le classi medie declinano e «sragionano«. E anche la Svezia può invertire il corso della propria storia.
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