Un doppio capolavoro è Gli amori di Suzanna Andler (in originale semplicemente, e con maggiore efficacia, secco, Suzanna Andler). Il primo è il testo teatrale di Marguerite Duras del 1968. Il secondo è il film di Benoît Jacquot del 2021 (da oggi in sala) magistralmente interpretato da Charlotte Gainsbourg. Jacquot è un immenso cineasta, che ama sperimentare e sorprendere a ogni opera.

GAINSBOURG è un’attrice altrettanto immensa, la cui filmografia lascia senza respiro, un rinnovato colpo agli occhi e al cuore. Qui, siamo in una delle sue vette recitative e Jacquot in uno dei suoi lavori più fiammeggianti. Tutto accade nel corso di una lunga giornata e, salvo rare fughe, in un unico ambiente, una villa affacciata sul mare in una Costa Azzurra fuori stagione, negli anni Sessanta.

C’è unità di tempo e di luogo, e un personaggio, quello di Suzanna Andler, attorno al quale si snoda l’intera storia e si avvicendano gli altri pochi personaggi. Il pre-testo è la visita che la donna compie per eventualmente affittare la dimora l’estate successiva, un mese di vacanza da trascorrere con il marito Jean e le figlie.

MA IN QUELLE ORE accadrà ben altro e Suzanna dovrà capire cosa fare della propria vita facoltosa ma insoddisfatta, di un marito che fa soldi facilmente e la tradisce spesso. Se Rivière, l’uomo dell’agenzia immobiliare, le fa fare la prima ricognizione del posto aprendo le persiane e mostrandole le stanze, l’ampia scala, il terrazzo, per poi andarsene lasciando sola Suzanna in attesa di una risposta, è Michel (Niels Schneider) che, nelle ore successive, condividerà quegli spazi insieme a lei. Michel è l’unico amante di Suzanna. Intanto, il tempo passa, si è fatto pomeriggio e si farà sera. Gli amori di Suzanna Andler è un vertiginoso saggio sullo spazio, i corpi, gli sguardi e le parole che la coppia si scambia, su quel che accade in campo (la dimensione teatrale è costantemente re-inventata dalla macchina da presa in movimento) e fuori campo (evocando la casa e la famiglia di Suzanna attraverso le telefonate che lei fa alla governante e a Jean), sull’amore, la sua assenza, il desiderio, il tradimento, le convenienze nelle relazioni, le menzogne, la moltitudine delle cose (non) dette.

Il tempo si fa sospeso, e non è casuale che per mantenere un legame con la realtà, sfumata sempre più dal tempo interiore nel quale si sono tuffati gli amanti, la coppia si chieda spesso che ore sono. Prima che Michel arrivasse, Suzanna si era addormentata su un divano, producendo al risveglio un «annebbiamento» temporale che permarrà fino all’ultima inquadratura. Le parole, in un film di-segnato sulle sfumature e le espressioni cangianti dei volti, come le immagini e i corpi, assumono la forma di seduzioni rarefatte, ambigue, che aprono voragini di senso e interpretazioni.

JACQUOT adotta il piano sequenza, e un uso sensuale degli zoom in avanti e indietro, per circondare, avvolgere Gainsbourg e Schneider, sedurli con l’occhio dell’obiettivo, avvicinarsi a loro (esemplare, ma è solo un esempio tra i tanti che si potrebbero fare, la scena della telefonata tra Suzanna e Jean con ampie e morbide «carezze» compiute dalla macchina da presa sul volto dell’attrice), abbandonarli per seguire altre traiettorie del piacere (del filmare), «sbandando» protendendosi verso il mare o visualizzando il pensiero della protagonista mentre raggiunge Michel sul cornicione del terrazzo.

Cosa c’è «davvero» tra Suzanna e Michel? Amore? Attrazione? Entrambi? È una delle tante domande su cui Duras prima e Jacquot poi indagano. Jacquot utilizza ogni elemento per esprimere la complessità degli stati d’animo messi in campo. E insieme al suo sguardo danzante, che non smette mai di catturare gli smottamenti interiori, ecco il ricorso a una recitazione al tempo stesso fisica e straniante e a una colonna sonora calibrata e in perfetta sintonia con le immagini e i gesti che si attuano dentro di esse, piene di anfratti, crepe, spiragli forieri di rivelazioni che i personaggi portano a galla e nascondono.