Chiara è giovanissima quando di notte corre via nel bosco insieme all’amica Pacifica per unirsi alla comunità di Francesco. Alle spalle, e senza esitazione, lascia la sua casa, la famiglia, la ricchezza, il lusso, gli abiti di stoffe preziose, taglia i capelli e indossa un sacco ruvido scegliendo la povertà. Che per tutti loro è una dichiarazione di lotta (pacifica) contro una società opulenta e ingiusta, che crocifigge i poveri anche dentro la chiesa. È quella di Chiara e di Francesco una rivoluzione: sono giovani, decisi, pronti a rischiare e a mettersi in gioco, le loro voci attraggono quasi subito altre e altri che vogliono seguirli. Di questo parla Chiara il nuovo film di Susanna Nicchiarelli in sala questi giorni. Che non è un biopic della santa d’Assisi, ciò che interessa la regista come nei precedenti Nico 1988 (2017) e Miss Marx (2020) è restituire una figura femminile (interpretata da Margherita Mazzucco, Elena di L’amica geniale) dentro il suo contesto storico, qui il Medioevo per coglierne una universale contemporaneità.
È un desiderio di eguaglianza a spingere Chiara alla sua scelta nel segno

Una scena di «Chiara»

della fede e dell’utopia, siamo nel 1211, per la gerarchia ecclesiastica tutto questo rappresenta una forma di tradimento. Nicchiarelli, che ha lavorato sugli studi di Chiara Frugoni, segue il percorso del suo personaggio attraverso gli anni, alla ricostruzione storica predilige l’interpretazione – sostenuta da una ricerca filologica molto puntuale – che compone per frammenti: mescola la storia e la dimensione intima, le crisi, gli spaesamenti, le delusioni, i dubbi della ragazza, gli attimi di felicità: come stare dentro la leggenda che inizia a circondarla? «Le rappresentazioni di Chiara al cinema non sono mai di primo piano, in Fratello sole, sorella luna (Franco Zeffirelli, 1972) è una fanciulla bionda, angelica sempre sullo sfondo; Rossellini (Francesco, giullare di Dio, 1950) la mostra arrabbiata e durissima, quella forse più compiuta è interpretata da Helena Bonham Carter in Francesco (1989) di Liliana Cavani» dice Susanna Nicchiarelli. Ci parliamo al telefono mentre è a Bologna per il tour del film.

Perché proprio Chiara d’Assisi dopo Nico e Eleanor Marx?

C’è un imbarazzo intorno alla storia vera di Chiara che non è mia stata raccontata per come è, lo stesso imbarazzo che porta a mostrare Francesco come uno che predicava agli uccelli invece che alla gente. È la chiesa per prima a metterli da parte, le loro idee vengono giudicate subito problematiche a cominciare dal voto di povertà – che era di fatto un ritorno ai principi del Vangelo. Chiara poi era una donna e questo rendeva la sua presenza ancora più intollerabile alle gerarchie religiose; andava in giro scalza, voleva essere attiva, viaggiare tutte cose che erano vietate alle donne. Quando è morta la Regola che aveva negoziato per il suo ordine, le Clarisse, con cui le liberava dall’obbligo di clausura, è stata subito annullata. A partire da qui volevo lavorare su una diversa narrazione di Chiara – che sin dall’infanzia la vuole una bambina chiusa in camera – più vera, che ne cogliesse la modernità. Gli studi storici e gli scritti di Chiara Frugoni mi hanno aperto un mondo. Lei lavora con le immagini, ricostruisce la vita del tempo, i rapporti quotidiani visivamente; così vediamo come sono stati raccontati Chiara e Francesco attraverso le descrizioni della gente che non sapeva scrivere. Le sue consulenze al film erano sempre affreschi in miniatura che noi seguivamo.

Quale aspetto ti interessava far emergere nella figura di Chiara – che è comunque molto iconica?

Che era una rivoluzionaria. La pratica della povertà per lei non era negoziabile perché dichiarava una protesta contro il potere del denaro, contro una società ingiusta in cui c’era chi aveva tutto e chi non aveva nulla. Loro, Chiara e Francesco, non lo accettavano e vi opponevano la possibilità di una vita diversa, con una comunità di persone che non replicava le gerarchie del potere come accadeva nei monasteri dove c’erano le serve e le ricche. Dicevano: «Non posso essere felice se mio fratello ha fame». La loro è una lotta non violenta che non impone nulla a nessuno. È una scelta, è la rivoluzione impossibile di chi dorme nelle capanne. Per certi aspetti erano vicini all’anarchia, credevano in una gestione del potere paritaria e questo naturalmente dalle istituzioni ecclesiastiche non era tollerato.

Chiara come già Nico e Miss Marx dichiara un personaggio di donna in conflitto con i modelli in cui vogliono rinchiuderla, con le regole, con l’impossibilità di scegliere la propria via, con la sua stessa iconografia. Un aspetto questo che nel film si afferma più della trascendenza.

C’è una forte componente spirituale in Chiara che per me si manifesta attraverso l’unità e la concretezza del suo fare insieme alle altre. Non sarei stata in grado di confrontarmi con la dimensione irrazionale mentre la sua pratica quotidiana è quanto mette in discussione il potere. L’apostolato attivo era interdetto alle donne, da monache nel Medioevo potevano solo stare in clausura. Così scomparivano e questo era esemplare della loro condizione. Chiara è quel tipo di donna che «non si vuole vedere» – come disse un papa di lei – che disturba perché si oppone a chi la vuole cancellare vivendo secondo i principi del Vangelo. Il suo modo di essere non è previsto. Un po’ come accadeva con Nico: quando ho scritto il film nessuno la voleva vedere a cinquant’anni, per tutti era sempre la ragazza bionda di quando ne aveva 25. Lei che voleva continuare a scrivere canzoni,a vivere non interessava. C’è un sistema – e non soltanto nel cinema – che rifiuta la donna quando dichiara il controllo della sua vita.

Tornando alla spiritualità, tu scegli una linea orizzontale, nel senso che lavori sulla verità di Chiara, sul suo essere una persona in relazione con gli altri e col mondo. E questo la rende molto reale nonostante i miracoli, o i digiuni che sono così ricorrenti nelle vite delle sante.

L’aspetto mistico non mi appartiene, cerco di lavorare con ciò che mi è vicino. Nel caso di questa storia sono appunto la concretezza e la scommessa di costruire una comunità più che il rapporto col divino. Mi affascina come i santi diventano qualcosa negli occhi degli altri, Chiara e Francesco ci scherzano tra loro. Poi c’è anche il digiuno, Chiara lo fa ma l’obiettivo rimane concreto, riguarda la possibilità per tutte di mangiare. Ci sono molti riferimenti alimentari nei loro discorsi perché mangiare è parte di quell’amore per la vita che predicano come lo sono la danza, la musica che esistevano realmente nella preghiera di ogni giorno. L’idea di religione di Chiara non è mai mortificante, dicevano che solo amando la vita, il mondo, la natura, il corpo si ama dio.

C’è anche molta leggerezza nel tuo avvicinarti a questo universo.

Cerco di raccontare la vita che è un po’ così, ci sono elementi ironici come quando il portone cade addosso a Chiara o quando si parla del miracolo che non è mai stato fatto. Riguarda la «distanza» rispetto al ruolo del santo di cui anche loro erano consapevoli, e soprattutto è parte dell’esistenza quotidiana.

Il Medioevo è presente nel paesaggio, negli abiti nelle storie ma i personaggi esprimono una dimensione contemporanea.

Forse modernizzare significa scegliere un’attrice diciottenne e far parlare tutti nel loro dialetto senza irrigidirli in un italiano che non esiste. Non voglio confrontarmi col passato in chiave nostalgica ma per agire sul presente cercandovi un’inquietudine, un elemento perturbante.

Ai religiosi è piaciuto?

Molto, e ne sono contenta. Ho avuto uno scambio con una suora a cui è piaciuto tantissimo perché affronta un non detto sul ruolo della donna nella chiesa. Non era il mio obiettivo, credo però che la vicenda di Chiara più in generale interroghi il ruolo della donna nella società – che la chiesa rispecchia. Ho pensato questo film molto prima ma mi ha colpita che in Iran uno dei primi gesti di protesta delle ragazze è stato tagliarsi i capelli togliendosi il velo. Anche Chiara lo fa quando va via di casa per unirsi a Francesco, e così dichiara un’indipendenza della donna rispetto al suo corpo, alle sue scelte.

In un certo senso è anche un film sulla giovinezza.

Perché quando comincia la loro storia sono giovanissimi. Non volevo dire però che la rivoluzione si fa solo da giovani, intorno a Chiara e a Francesco ci sono donne e uomini di ogni età.