È da segnalare la recente iniziativa dell’Electa di riproporre, contestualmente alla mostra milanese su Max Ernst e dopo quella veneziana svoltasi alla Guggenheim, i due ponderosi volumi allestiti da Paola Dècina Lombardi sul surrealismo. Usciti originariamente per gli Editori Riuniti nel 2002 e per la Mondadori nel 2008, Surrealismo 1919-1969 Ribellione e immaginazione (pp. 704, € 28,00) e La donna, la libertà, l’amore Un’antologia del surrealismo (pp. 608, € 25,00) risultano complementari e funzionali al progetto di offrire uno sguardo esauriente su una delle esperienze artistico-letterarie basilari del Novecento. La studiosa, di cui ricordiamo anche i saggi René Crevel o il surrealismo come rivolta (1989) e L’oro del tempo contro la moneta dei tempi. André Breton, piuttosto la vita (2016), ha concentrato intorno al surrealismo e a Balzac la sua sfera di interessi, estendendola a una branca di valide traduzioni. Con questi due volumi la Dècina Lombardi riesce mirabilmente a ripercorrere, in maniera capillare, la storia di un movimento che ha segnato il gusto di un’epoca.

Il saggio prende l’abbrivio dai primordi (i precursori Vaché, Rigaut, Cravan, il retaggio dadaista con l’avvento a Parigi di Tzara) che ispirarono la pubblicazione nel 1920 di Les champs magnétiques di Breton e Soupault per Au sans pareil, considerato l’atto di nascita del surrealismo. Com’è noto i due autori, che insieme ad Aragon animarono la rivista di orientamento dadaista «Littérature» che nel numero di dicembre 1919 anticipò i primi tre capitoli del libro, si proponevano di scardinare le porte delle usuali percezioni sensoriali attraverso il ricorso a un flusso verbale liberatorio prorompente dall’inconscio. L’apprendistato freudiano si manifesterà a più riprese, sconfinando nell’appendice dei Vasi comunicanti di Breton (1932), dove figurano alcune lettere, peraltro piuttosto evasive, del maestro viennese sulla particolare applicazione del metodo psicoanalitico adottata dai surrealisti.

Si prosegue con una serie di iniziative legate alla scrittura medianica e ai sommeils hypnotiques che darà i suoi frutti più significativi con l’opera variegata di Crevel e Desnos, di cui ricordiamo la raccolta Corps et biens (1930), contenente i calembours di Rrose Sélavy che si proponeva di essere il risultato della comunicazione telepatica fra lo stesso poeta e Duchamp che si trovava a New York. Il termine «surrealismo», coniato da Apollinaire in occasione del balletto Parade (1917) ricavato da un testo di Cocteau, con musiche di Satie e coreografie di Picasso, sarà ripreso da Ivan Goll come titolo di una rivista di cui uscirà un solo numero nel 1924, pochi giorni prima della «Révolution surréaliste». Ne nascerà un’inevitabile querelle, con l’accusa rivolta da Goll a Breton: «È ridicolo voler fare una Rivoluzione surrealista, per poi ergersi a dittatore del surrealismo».

Il numero inaugurale della «Révolution surréaliste», di cui usciranno undici fascicoli, uno dei quali doppio (il 9-10, incentrato sull’écriture automatique), si ispira graficamente alla sobrietà dei periodici scientifici del tempo. In copertina, sotto tre foto di gruppo di Man Ray disposte a piramide, campeggia la dicitura programmatica: «Bisogna arrivare a una nuova dichiarazione dei diritti dell’uomo». L’attività della rivista era intrecciata a quella del Bureau central de recherches surréalistes, la cui sede si trovava al n. 15 di rue de Grenelle e che ebbe purtroppo vita breve. Quest’ufficio aveva il compito di regolamentare il lavoro collettivo del gruppo, promuovere la sua opera e soprattutto «raccogliere tutte le comunicazioni possibili riguardanti le forme che l’attività inconscia del pensiero è in grado di prendere», come si legge negli Entretiens di Breton e André Parinaud. D’altronde le riviste hanno sempre avuto un ruolo fondamentale nella storia del movimento, passando da «Le Surréalisme au service de la révolution», la cui copertina aveva effetti fosforescenti che risaltavano al buio, alla splendida «Minotaure» edita da Thériade, da «VVV» a «Medium», da «Le Surréalisme, même» a «Bief», da «La Brèche» a «L’Archibras», il cui ultimo numero risale al marzo 1969.

In tale contesto giganteggia la figura di André Breton, considerato il capostipite del gruppo, che con i due manifesti programmatici e le prese di posizione intransigenti influenzerà le direttive dei suoi accoliti. Molto si è discusso intorno all’operato del «papa» del surrealismo, valutato di volta in volta demiurgo o tiranno ma è indubbio che Breton sia stato un punto di riferimento insostituibile nell’economia del movimento. A lui si devono infatti, oltre a prove campali come Nadja e L’amour fou, le teorizzazioni più importanti e le celebri espulsioni che coinvolsero autori come Artaud, Soupault, Desnos, Leiris, Queneau. In un libello intitolato Un cadavre, sorto in replica al secondo manifesto e ispirato a un pamphlet edito contro Anatole France dagli stessi surrealisti, domina un fotomontaggio dello stesso Breton con una corona di spine in testa. Viene definito «poliziotto e prete» (Ribemont-Dessaignes), «vescovo e papa» (Prévert), «truffatore» (Vitrac), «fantasma puzzolente» (Desnos), «provocatore putrido» (Leiris), «esteta da cortile» (Baron). Per tutta risposta Breton pubblicò nell’ultimo fascicolo della «Révolution surréaliste» un elenco comprendente i giudizi antitetici espressi dai vecchi sodali, prima e dopo l’espulsione.

Sulle orme di Lautréamont i surrealisti asseriscono che la poesia deve essere «fatta da tutti, non da uno». Nascono così i cadavres exquis, gioco «che consiste nel far comporre a parecchie persone una frase o un disegno su un foglio piegato in modo tale che nessuna di esse possa tener conto della collaborazione o delle collaborazioni precedenti», come si legge nel Dictionaire abrégé du Surréalisme allestito da Breton ed Éluard nel 1938. Il proposito di cambiare la vita, cercando di coniugare gli assiomi di Rimbaud e Marx, permea la fase più strettamente legata all’engagement che vedrà il progressivo allontanamento di Aragon, fou d’Elsa, ed Éluard, sensibili alla deriva stalinista che Breton riuscirà abilmente a evitare. Durante la sua esperienza messicana, coinvolgerà infatti Trockij nella stesura del manifesto Per un’arte rivoluzionaria indipendente, firmato solo dall’autore di Arcane 17 e Diego Rivera.

D’altro canto la dinamica del suicidio di Crevel, avvenuto nel 1935, si pone come sottile linea di demarcazione tra impegno politico e sua effettiva attuazione: l’artefice della Mort difficile non fu in grado di conciliare le posizioni di Breton e degli esponenti dell’AEAR che avevano organizzato a Parigi il Congresso internazionale degli scrittori per la difesa della cultura. La Dècina Lombardi si dilunga sulle vicissitudini relative alla scomparsa di Crevel, quasi che il suo suicidio rappresenti lo spartiacque tra la fase più creativa del surrealismo e quella successiva, in cui predomina un manierismo ripetitivo, meccanico.

L’autrice non tralascia il repertorio figurativo che annovera artisti di primo piano come Max Ernst, Masson, Magritte, Mirò, Picabia, Dalí (teorizzatore del metodo paranoico-critico, il cui nome verrà anagrammato da Breton in Avida Dollars), Giacometti, Duchamp, Bellmer, nonché alcuni capisaldi cinematografici come Un chien andalou e L’âge d’or di Buñuel o Entr’acte di René Clair. Ma l’aspetto più complesso riguarda sicuramente gli sviluppi internazionali, con particolare attenzione rivolta a Belgio, Spagna, Cecoslovacchia, Inghilterra. In tal senso l’antologia La donna, la libertà, l’amore offre uno spaccato quanto mai attendibile sulle ripercussioni che il surrealismo ebbe al di fuori del paese d’origine. Oltre ai poeti canonici (Aragon, Breton, Desnos, Éluard, Péret, Char), in genere tradotti dalla stessa curatrice, sfilano figure meno conosciute come quelle del seminarista pentito Ernest de Gengenbach, dell’eclettica Joyce Mansour che fece dell’erotismo il proprio ambito di ricerca e dell’antimusa Claude Cahun, la cui ambiguità sessuale sembra anticipare il gender fluid. Nutrita la presenza di autori iberici, in parte ricavata dall’antologia einaudiana sui Poeti surrealisti spagnoli di Bodini, mentre circoscritta è quella degli italiani che si limita alle Perfections du noir di Ungaretti e a qualche sporadico testo di Delfini e Arturo Schwarz. Con buona pace di Contini che in Italie magique disquisiva intorno a un concetto di surrealismo di area nostrana.