Lavorare quattro mesi senza ricevere alcuno stipendio, né rimborso. Non è una classica storia di partite Iva sfruttate ma è la sorte che tocca ai supplenti nella scuola pubblica italiana, appesi a erogazioni di fondi perennemente rinviate. Una situazione che si ripete da diverso tempo ma che quest’anno è diventata drammatica per un numero imprecisato di docenti.

AD OGGI nonostante le richieste dei sindacati, non si conosce il numero esatto di quanti insegnanti e Ata (personale amministrativo) vivano in una situazione economica difficoltosa pur avendo un lavoro. «Sembra che stiamo chiedendo la carità – denuncia Daniela, insegnante in una scuola primaria di Altidona – intanto c’è il bollo auto da pagare, le bollette, il cibo, i beni di prima necessità per una esistenza dignitosa: si è molto discusso sui bassi stipendi non aggiornati al caro vita dei docenti, il problema è che non ci arriva nemmeno la carità». La questione sembrava essersi risolta dieci giorni fa, dopo l’annuncio, da parte del ministero dell’Istruzione, dello sblocco dei fondi sul portare NoiPA, che per di più in questi mesi ha anche funzionato a intermittenza. Tuttavia non tutta la platea è stata coperta e sono molti i docenti che dovranno aspettare almeno fino al 28 gennaio per vedersi accreditato lo stipendio.

INTANTO, PERÒ, per alcuni di loro è sopraggiunta anche la beffa: sono risultati non in regola con il pagamento del 730 relativo allo scorso anno. In pratica per ricevere gli stupendi che gli spettano devono anticipare le tasse. «È una situazione insostenibile – dice Antonina, di origine siciliana, insegnante di scuola media in Veneto – mi dicono che bisogna pazientare, perché sono soldi sicuri e prima o poi arriveranno ma io abito a 1000 km di distanza da casa e il mio lavoro andrebbe retribuito mensilmente perché l’affitto devo pagarlo come da contratto e l’azienda che gestisce luce e gas non può aspettare che il ministero stanzi i fondi». Chiara De Nuccio, Luca Campoli e Monica Vercelli hanno diffuso nei giorni scorsi un appello per Valditara. «La situazione solleva questioni critiche sulla giustizia sociale e i diritti lavorativi – commenta De Nuccio – lavorare senza retribuzione per mesi infrange non solo la dignità professionale ma anche i diritti umani». Mentre Campoli sottolinea come «vengono finanziati progetti, tutor e altro anziché risolvere questo annoso problema che affligge i precari». Quindi, annuncia, «il prossimo 8 gennaio la maggioranza di noi non potrà raggiungere il posto di lavoro per motivi materiali». L’appello, spiegano i tre docenti, «non solo chiede un intervento immediato per risolvere la crisi salariale, ma anche una riflessione sul riconoscimento del ruolo vitale degli insegnanti nella società».

LO SCORSO APRILE era stato lo stesso ministro ad annunciare il superamento definitivo di questa situazione attraverso il suo «Piano delle semplificazioni». Nulla è cambiato però, e ai ritardi si sono aggiunte complicazioni. Di «trattamento vergognoso» parla la Flc Cgil. «Molti supplenti, ultimi fra gli ultimi, devono attendere la retribuzione maturata», denuncia il sindacato che chiede a viale Trastevere «la certezza delle risorse da garantire con il primo strumento normativo utile e l’erogazione tempestiva degli stipendi del personale supplente docente e Ata».

IN QUESTE SETTIMANE si sono mossi anche i partiti d’opposizione. Debora Serracchiani e Irene Manzi del Pd hanno annunciato una interrogazione al ministro «il ritardo nei pagamenti è una disfunzione che dura da troppo tempo – dicono le parlamentari – e che quest’anno ha raggiunto picchi intollerabili: parliamo di persone che devono essere pagati come tutti gli altri, altrimenti siamo all’assurdo di dipendenti pubblici discriminati».

LO SCORSO SABATO è stato approvato a Montecitorio un ordine del giorno proposto da Elisabetta Piccolotti di Avs che impegna il governo a «cambiare le modalità di pagamento dei docenti precari per assicurare che l’accredito arrivi entro il mese successivo. Quella attuale è una procedura inaccettabile che da molti anni lascia senza stipendio migliaia di persone che lavorano onestamente per lo Stato sopportando una precarietà ingiusta che andrebbe eliminata con un piano strutturale di stabilizzazione e una riforma radicale del sistema di reclutamento».