Supermercati, yoga e cucina italo-cinese, nella Soho di Milano apre l’Oriental Mall
Milano Il manager Francesco Hu, laureato alla Bocconi, in Italia da quando aveva sei anni: «Siamo tutti ragazzi di seconda o terza generazione cresciuti in questa città»
Milano Il manager Francesco Hu, laureato alla Bocconi, in Italia da quando aveva sei anni: «Siamo tutti ragazzi di seconda o terza generazione cresciuti in questa città»
Confusi e felici. Una signora milanese porta a spasso il marito tra spaghetti cinesi e bigiotteria varia. «Stiamo cercando di orientarci, ma mi piace». Il marito chiede informazioni a una ragazza che parla poco italiano ma si fa capire benissimo e molto in fretta. «Corrono, devono lavorare, altro che i milanesi…». La notizia ha fatto il giro della città. In via Paolo Sarpi, l’unica vera Soho d’Italia, ha aperto il primo ipermercato cinese. Si chiama Oriental Mall e quando sarà a pieno regime si svilupperà su tutti i cinque piani di un edificio che prima ospitava Ovs.
Il progetto prevede due supermercati, bar, spazio per yoga, massaggi e trattamenti estetici, sala da té e punto di ristoro con cucina italo-cinese. Al momento però sono aperti due piani e si riesce solo ad intuire l’obiettivo finale. Appena entrati c’è un supermercato dove i prodotti sono segnalati sia da ideogrammi che da scritte in italiano. Sugli scaffali però ci sono soprattutto prodotti cinesi, ma c’è anche il brandy in bottiglie a forma di Tour Eiffel accanto al frigo con il cornetto Algida. Al bancone una signora parla solo cinese assistita da giovani bilingue. Uno di loro si esprime in perfetto milanese. Stessa scena nei negozi di vestiti, simili alle centinaia di vetrine che si affacciano sulle vie del quartiere. L’unica differenza è che qui condividono lo stesso edifico, come in una sorta di outlet. E pare funzionare benissimo.
C’è di tutto, anche prodotti per la pulizia della casa a prezzi assolutamente imbattibili. Una donna italiana aiuta a esporre la merce agli ordini di una giovanissima cinese. «Sono un’amica, do una mano», spiega la signora. Per saperne di più bisogna però parlare con Francesco. Di cognome fa Hu, ma è a Milano da quando aveva sei anni. Si è laureato alla Bocconi e ha fatto il consulente finanziario. Poi con suo fratello Michele ha avuto l’idea. «La location – spiega – era molto invitante. Una cosa così ancora non esisteva. In tanti hanno deciso di trasferire qui la loro attività. Molti di noi si conoscevano già, siamo tutti ragazzi di seconda o terza generazione cresciuti nella stessa città: Milano».
Una mamma è venuta a da Quarto Oggiaro giusto per dare un’occhiata. Due anziani non sono soddisfatti: cercavano abiti firmati a basso prezzo. Ma devono solo aspettare. Sono in corso trattative con marchi di lusso made in Italy da offrire agli italiani, ma anche ai turisti cinesi. Insieme ai russi ormai sono loro la principale clientela della città della moda. E così il quadrilatero di via Paolo Sapri è sempre più in movimento. Si tratta di una miscela riuscitissima di intraprendenza e creatività cinese e milanese, capace di attrarre sia italiani e che stranieri in cerca di prezzi bassi, ma anche di prodotti originali e di lusso. Un miscuglio di razze, desideri e attività e classi sociali unico.
Tutti gli stereotipi sui cinesi, comunità chiusa che ruba nell’ombra gli affari e il lavoro agli italiani, non sono di questo mondo. Qui è tutto alla luce del sole. Qui aprirà un megastore Feltrinelli che sarà molto più di una libreria e in occasione di Expo, dove la Cina farà la parte del gigante, già si favoleggia di una copertura trasparente e rimovibile dell’intera via Paolo Sarpi. Una sorta di galleria a cielo aperto, una specie di galleria Vittorio Emanuele 2.0 del XXI secolo.
La comunità cinese, che qui si è stabilita nei primi del Novecento, è ormai parte integrante della città. A Milano può capitare di finire ad una festa per l’inaugurazione di un ristorante cinese in uno storico locale underground della città e ballare insieme a tanti cinesi sulle note di un gruppo rock (cinese) che canta gli Aerosmith. A Milano un bar su cinque è gestito da cinesi, sei anni fa erano 120, adesso sono 522 su un totale di 2.300 – una crescita del 335%. C’è poco da provare invidia o paura. Così girano i soldi e il nuovo mondo.
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