Nemmeno nel 2023 avremo la superconduttività a temperatura ambiente. Salvo sorprese di fine d’anno, non disporremo cioè di un materiale capace di trasmettere corrente elettrica senza sforzo e dispersione di calore – «superconduttività» significa questo – e senza neanche bisogno di scendere a temperature bassissime come avviene con quelli che già conosciamo e usiamo. Cavi superconduttori a temperatura ambiente potrebbero rivoluzionare molti settori, dalla fusione nucleare ai treni a levitazione. Come antichi alchimisti, migliaia di ricercatori in tutto il mondo sono alla ricerca di un materiale simile e anche di un premio Nobel quasi garantito. Ci sarà da aspettare ancora.

EPPURE IL 2023 sembrava l’anno giusto. A marzo, la comunità scientifica era stata colta di sorpresa da un annuncio di Ranga Dias, fisico srilankese dell’università di Rochester (Usa) corredato da uno studio pubblicato sull’autorevole – perché molto selettiva – rivista scientifica Nature. Secondo Dias, l’«idruro di lutezio» diventa superconduttore a temperatura ambiente e a pressioni largamente alla portata delle tecnologie odierne. In estate, aveva fatto ancora più rumore un altro studio pubblicato online dai coreani Sukbae Lee e Jihoon Kim dell’università di Seul. Lo studio descrive LK-99, un composto a base di piombo, rame e fosforo che in un campo magnetico si solleva in aria – la levitazione è un possibile indizio di superconduttività. Come i ricercatori di Rochester, anche quelli di Seul hanno brevettato il prezioso materiale per sfruttarne l’enorme potenziale commerciale. A differenza di Dias, tuttavia, Lee e Kim hanno diffuso anche la «ricetta» per prepararlo, invitando la comunità scientifica a verificare i loro risultati.
Due buchi nell’acqua: né l’idruro di lutezio né LK-99 hanno mantenuto la loro promessa. Il presunto superconduttore coreano ha animato le cronache scientifiche estive per qualche settimana, con scienziati e aspiranti tali che plasmavano in diretta video l’agognato materiale per vederlo levitare insieme a migliaia di follower – uno spettacolo a metà tra MasterChef e Art Attack. Ma già a metà agosto diversi scienziati hanno dimostrato che la levitazione osservata da Lee e Kim dipende da impurità a base di rame e zolfo presenti in LK-99, che gli conferiscono la capacità di librarsi in un campo magnetico ma non la superconduttività.

POCHI GIORNI FA è arrivata la definitiva smentita anche sull’idruro di lutezio. La rivista Nature che aveva pubblicato la scoperta di Dias il 7 novembre ne ha ritirato lo studio dopo averlo riesaminato una seconda volta e aver messo in dubbio l’affidabilità dei dati presentati. La richiesta di cancellare l’articolo era giunta persino da otto dei dieci ricercatori che lo hanno co-firmato insieme a Dias (contrario al ritiro), un segnale che la trasparenza è venuta meno tra gli stessi collaboratori. Dias peraltro è recidivo: già alcuni anni fa aveva annunciato la scoperta di un altro superconduttore a temperatura ambiente, prima di vedersi costretto a ritirare altri studi di grande impatto. Ora lo scandalo riguarda anche il suo lavoro di docente universitario, con accuse di plagio sulle tesi di laurea e di dottorato della sua cattedra che probabilmente ne segneranno la fine professionale. La figuraccia coinvolge anche la rivista, la cui risonanza è in grado di far decollare carriere o dirottare fondi di ricerca. Molti ricercatori, in effetti, si chiedono ora come mai la rivista abbia accettato di pubblicare un articolo così pieno di punti oscuri. È un brutto colpo per la comunità scientifica della superconduttività, ancora scottata dallo «scandalo Schoen», fisico tedesco che una ventina di anni fa era considerato vicino al premio Nobel per i suoi studi fondamentali sui superconduttori. Nel 2002 però emerse che i suoi risultati erano truccati, e nonostante questo erano stati pubblicati sulle riviste più importanti al mondo. Fu definita «la più grave frode scientifica degli ultimi 50 anni».
Nei casi più recenti, tuttavia, c’è chi intravede una lezione positiva. Il caso di LK-99 si è risolto ancor prima di «contaminare» la letteratura scientifica. «Il lavoro di indagine che ha messo insieme tutti i pezzi del puzzle è stato fantastico» sostiene Inna Vishik, una delle ricercatrici che ha risolto il caso del superconduttore volante.

ALTRI TEMONO che le bufale danneggino la reputazione di un campo in cui lavorano fisici teorici e sperimentali di grande livello. La fisica italiana Lilia Boeri dell’università «Sapienza» di Roma, tra i massimi esperti nel campo, riferisce di una maggiore difficoltà nel reclutare studenti e dottorandi per questo ambito di ricerca. «Facciamo fatica a comunicare che il settore è sano – spiega – e che a dispetto di poche mele marce gli standard scientifici della comunità sono molto più elevati».
Il caso Dias però segnala che nemmeno la fisica, la disciplina ritenuta più «solida» per standard di accuratezza, è immune da errori e da più prosaiche truffe. Il tema è sempre più scottante perché l’impatto delle frodi scientifiche è talmente ampio da rappresentare esso stesso un oggetto di ricerca. È convinzione diffusa che le ricerche «fake» scoperte – come quelle di Dias – siano una minima parte del totale. Oggi la produzione di studi inventati ha superato la fase artigianale ed è entrata nell’era industriale, con vere e proprie fabbriche di pubblicazioni truffaldine capaci di produrne a migliaia dietro pagamento di scienziati che hanno bisogno di rimpolpare il curriculum in osservanza del dogma della competitività scientifica «publish or perish», «pubblica o muori». L’uso di attribuire fondi e cattedre sulla base del numero di pubblicazioni scientifiche, senza troppa attenzione al loro contenuto, è considerato uno dei fattori che spingono i ricercatori a pubblicare un numero sempre più alto di ricerche di sempre più bassa qualità, spingendosi a volte a inventarle di sana pianta.

SECONDO ADAM DAY, che ha sviluppato un software in grado di riconoscere le pubblicazioni-truffa, la percentuale di studi realizzati in questo modo rappresenta oggi circa il 2% di tutta la letteratura scientifica pubblicata in un anno. Può sembrare poco, ma è una percentuale che raddoppia ogni cinque o sei anni. Dei 400 mila studi realizzati in fabbrica e riconosciuti da Day, 70 mila provengono dal solo anno 2022. Gli studi falsi sono particolarmente diffusi in medicina, biologia, chimica e scienza dei materiali.
Alla ricerca di un colpevole, tanti oggi puntano il dito contro l’intelligenza artificiale ChatGPT, capace di scrivere testi scientifici apparentemente credibili in pochi secondi e dunque un potenziale alleato dei truffatori. Ma l’intelligenza artificiale si dimostra efficace anche nello scoprire le frodi. Nell’ultimo numero di Cell Reports Physical Science Heather Desaire, professoressa di chimica all’università del Kansas (Usa), presenta un software denominato «ChatGPT detector» in grado di stabilire se un testo è stato scritto da ChatGPT con un’accuratezza del 98%. Dunque, possiamo finalmente lasciare alle macchine il compito di giocare a guardie e ladri con le ricerche scientifiche. Ma se la vera causa delle frodi risiede nella pressione dell’accademia, e nel primato della quantità sulla qualità, non sarà un computer a salvare la buona scienza.