Il 7 marzo, durante la conferenza annuale della American Physical Society a Las Vegas, il fisico srilankese Ranga Dias dell’università di Rochester (Usa) ha annunciato la scoperta del primo materiale «superconduttore» in grado di trasportare la corrente elettrica con pochissima energia a temperatura ambiente. Se fosse confermata, si tratterebbe di una delle più importanti scoperte del secolo, con enormi conseguenze tecnologiche e ambientali. La scoperta è accompagnata dalla pubblicazione di uno studio firmato con dieci collaboratori sull’ultimo numero della rivista Nature. L’annuncio di Dias finora ha però suscitato più diffidenza che ammirazione.

LA CORRENTE ELETTRICA che utilizziamo tutti giorni è un flusso di particelle – gli elettroni – che viaggia attraverso cavi di rame. Il movimento degli elettroni nei cavi non è affatto agevole: un po’ come accade correndo a zig zag per evitare gli alberi in un bosco fitto, nel loro moto gli elettroni urtano e rimbalzano ripetutamente contro gli atomi di rame. Superare questa resistenza richiede molta energia che, come oggi sappiamo bene, ha un costo elevato. Se gli elettroni si muovessero liberamente, l’uso dell’elettricità diventerebbe più efficiente e sostenibile. Ad esempio, trasmettere l’elettricità a grande distanza richiederebbe un consumo bassissimo di energia. Diventerebbe più facile realizzare elettromagneti abbastanza potenti da sollevare treni a levitazione veloci come aerei. O confinare il plasma per realizzare la fusione nucleare. In verità, materiali che azzerano la resistenza al passaggio degli elettroni sono stati scoperti oltre un secolo fa. Li abbiamo chiamati «superconduttori» per distinguerli dal rame e dagli altri metalli. In questi materiali, grazie a un effetto quantistico coppie di elettroni acquistano la capacità di viaggiare indisturbate tra gli atomi.

Tali tecnologie, tuttavia, non sono applicate su scala industriale: vengono usate solo per la risonanza magnetica in ambito sanitario e in pochi altri campi, come gli acceleratori di particelle e gli esperimenti di fusione nucleare. La superconduttività, infatti, richiede che i materiali si trovino in condizioni fisiche estreme. Alcuni vanno raffreddati fino a 271 gradi sotto zero – una temperatura inferiore persino a quella che si misura nello spazio cosmico – con costi che annullano i vantaggi della superconduttività. Altri «lavorano» a temperature più elevate ma a pressioni impossibili. Oppure richiedono processi di produzione troppo sofisticati per le tecnologie attuali.

CON LA SCOPERTA annunciata martedì, Ranga Dias sostiene di aver risolto gran parte di questi problemi. Secondo il fisico asiatico, l’«idruro di lutezio» con una piccola percentuale di azoto diventa superconduttore a 21 gradi centigradi (la temperatura di una giornata di primavera) e a una pressione «solo» dieci volte superiore a quella che si misura sui fondali più profondi dell’oceano, elevata ma alla portata delle tecnologie odierne. Peccato che, nonostante l’approvazione di una rivista autorevole come Nature, molti non credano ai risultati pubblicati. Dias è un personaggio a dir poco controverso. Sulla sua reputazione gravano pesantissime accuse di frode scientifica che investono anche l’ultimo studio. «I calcoli teorici sul comportamento di idruri analoghi non suggeriscono che tale materiale sia superconduttivo alla temperatura e alla pressione descritte» dice ad esempio la fisica Lilia Boeri della «Sapienza» di Roma.

Assai più netto Jorge Hirsch, dell’università di San Diego (Usa): «non credo a nulla di quanto affermano gli autori». Fu proprio lui a inguaiare Dias nel 2020, quando sulla stessa rivista Nature il fisico annunciò la superconduttività dell’«idruro di zolfo carbonioso» alla temperatura di 15 gradi. Lo studio è stato clamorosamente cancellato dalla rivista alcuni mesi fa, fatto raro per una testata così autorevole: come dimostrò Hirsch riesaminando i dati, si tratterebbe di uno studio falsificato ad arte.
I dubbi di manipolazione o di plagio si sono poi estesi ad altri studi condotti da Dias in passato. La comunità scientifica subodora un nuovo caso «Schön», altro presunto scopritore della superconduttività ad alta temperatura che nei primi anni 2000 appariva lanciatissimo verso un Nobel. E che all’apice della carriera si rivelò solo un abilissimo truffatore scientifico.

STAVOLTA, per proteggersi dalle richieste di verifica da parte dei colleghi Dias ricorre anche alle armi della proprietà intellettuale e della privacy. A Las Vegas solo una settantina di persone selezionate hanno potuto assistere alla sua relazione, senza il diritto a porre domande come avviene di norma alla fine di ogni intervento. D’altronde, Dias e colleghi hanno fondato un’azienda e firmato accordi di confidenzialità che non permettono di condividere dati e campioni con colleghi e curiosi. Dopo la sceneggiata di Las Vegas, il fisico dell’università di Austin (Usa) Hongze Li è corso a lamentarsi su Twitter: «negli ultimi 36 anni non è cambiato solo il campo della superconduttività ad alta temperatura, ma la ricerca scientifica stessa». I «36 anni» si riferiscono a un’altra celebre conferenza statunitense tenutasi il 18 marzo del 1987 in tutt’altra atmosfera, tanto da essere ribattezzata «la Woodstock della fisica». Duemila scienziati di tutto il mondo si ritrovarono in un’affollatissima sala dell’Hotel Hilton di New York per discutere dal pomeriggio all’alba successiva dell’allora recentissima scoperta della superconduttività ad alta temperatura.

Ne nacquero innumerevoli progetti di ricerca. Lo svizzero Karl Alexander Müller (scomparso due mesi fa a 95 anni) che nel suo incerto inglese aveva preso la parola per primo ricevette il premio Nobel per la fisica nello stesso anno. Dias non punta al Nobel: si accontenterebbe di un brevetto e di un ritorno economico, possibilmente prima di essere nuovamente smentito. Ma se la sua si rivelasse una vera scoperta, averla nascosta al mondo nel bel mezzo di una crisi energetica e climatica sarebbe un delitto assai peggiore.