Nel bollitore della maggioranza draghiana sarebbe stato raggiunto ieri un accordo sul «superbonus 110%» e gli altri bonus edilizi. Nel «Decreto Aiuti» in discussione nelle commissioni Bilancio e Finanze alla Camera avverrebbe una riformulazione degli emendamenti che prevedono l’ampliamento della platea dei cessionari a tutti, oltre le banche, comprese tutte le partite Iva senza limiti di fatturato, ad esclusione solo dei consumatori. Saranno bloccati tutti gli emendamenti – o parti di essi – che invece chiedono ulteriori proroghe del «superbonus».

Una soluzione di compromesso, l’ennesima, che permetterebbe forse ai Cinque Stelle di sventolare un’altra delle bandiere nella campagna elettorale permanente di questo fine legislatura e darebbe una risposta alle associazioni dei costruttori allarmati dal blocco dei crediti, conseguenza delle contraddittorie misure decise dal governo Draghi che hanno cercato di bloccare la distorsione del mercato edilizio e i reati contestati dalla guardia di finanza(5,6 miliardi ai danni del contribuenti). Il risultato è stato quello di bloccare un mercato evidentemente drogato, con il rischio di provocare fallimenti a catena tra le imprese e i loro fornitori che hanno scommesso sull’ondata speculativa azionata da un finanziamento pari a 33 miliardi di euro complessivi (una legge di bilancio destinata al mattone).

Grillo a Roma ieri ha detto ai suoi che Draghi cadrebbe solo se non ascoltasse il movimento sul «superbonus» o il «salario minimo». Non cadrà né sull’uno, né sull’altro che non sarà verosimilmente varato in questa legislatura. Sul «superbonus» l’ipotesi di accordo sarebbe quella di bloccare le proroghe (per soddisfare l’esigenza del Mef e di Palazzo Chigi di chiudere i cordoni della borsa) e quella di permettere di cedere il credito ad altri soggetti oltre alle banche, con la sola esclusione delle persone fisiche. Un aspetto che sembra però cogliere parzialmente un’esigenza dei Cinque Stelle, oltre che delle filiere coinvolte in questa politica dell’offerta concepita per rilanciare una «crescita» che in realtà era solo un rimbalzo dopo i lockdown del 2020. Ora il rimbalzo si sta afflosciando. La crisi non è mai finita ed è peggiorata con l’aumento dell’inflazione e la recessione in arrivo. Da parte di Draghi e Franco c’è l’esigenza di ritornare all’austerità per diminuire i rischi di esposizione del mega debito pubblico, anche se al momento il «patto di stabilità e di crescita» Ue è ancora sospeso. Più forte è il timore di una nuova crisi del debito dettata dalla «frammentazione» economica temuta anche dalla Banca Centrale Europea che ha annunciato uno «scudo anti-spread». In queste condizioni il «superbonus», contestato dallo stesso governo ma sostenuto da una parte della sua maggioranza, ha il destino segnato. In vista dell’ultima legge di bilancio della legislatura ci sarà anche da finanziare il «taglio al cuneo fiscale» sul lavoro. Sul tavolo delle trattative le risorse per la bolla delle ristrutturazioni edilizie, e quelle del cosiddetto «reddito di cittadinanza», potrebbero essere usate per finanziare il taglio al cuneo fiscale, una «una tantum» che le forze politiche potrebbero giocarsi sulla roulette elettorale. Ma è probabile che questo gioco delle tre carte porterà a nuove tensioni in una maxi-maggioranza a brandelli.

Resta il paradosso per cui i miliardi spesi dallo Stato per rilanciare il Pil in realtà penalizza le imprese che ritardano i pagamenti delle fatture commerciali. Questo è avvenuto perché il governo Draghi ha cambiato le regole lasche decise dal «Conte 2» (Cinque Stelle+Pd) ma questo ha avuto l’effetto opposto: ha bloccato un mercato drogato. Un altro tassello si aggiunge alla crisi.