Sulmona, la cittadina abruzzese a ridosso del Parco nazionale della Maiella, è da quindici anni l’epicentro di un lotta civica contro la dipendenza dell’Italia dai combustibili fossili. I Comitati cittadini per l’ambiente di Sulmona (https://sulmonambiente.wordpress.com) sono in prima linea contro la realizzazione della centrale di compressione del gas di Case Pente, a tre chilometri dal bel centro storico di Sulmona, lungo la strada per Pacentro che porta anche all’interno del Parco nazionale. L’infrastruttura sarebbe funzionale al nuovo gasdotto Brindisi-Minerbio, la Linea Adriatica che secondo Snam – promotore del progetto – dovrebbe collegare la Puglia alla Pianura Padana. «La società ha comunicato al Comune l’inizio dei lavori per il primo di marzo, ma in realtà sta realizzando solo sondaggi preliminari per l’adempimento di alcune importanti prescrizioni, ricerche archeologiche e ricerche per individuare eventuali ordigni bellici nell’area. Sono due prescrizioni previste nel decreto Via (valutazione d’impatto ambientale), che risale a 12 anni fa, 7 marzo 2011. L’aspetto archeologico è importante, perché attraverso l’uso di geo radar alcuni anni fa è stata individuata nell’area un’antica costruzione che risale a circa 2 mila anni fa, romana o italica» spiega all’ExtraTerrestre Mario Pizzola, portavoce dei Comitati. Che, in un comunicato, accusano Snam di sostenere che il sito di Case Pente è «un’area marginale circondata da anonime montagne», quando in realtà si tratta di un «corridoio faunistico in cui è assestata la presenza dell’orso marsicano» sottolinea Pizzola.

La tesi che sostengono i Comitati è che l’opera sia del tutto inutile, perché è stata concepita circa vent’anni fa: Snam ha presentato il progetto del «tubone» nel 2005. «All’epoca si pensava che il trend del consumo del gas fosse in ascesa, come di fatto era. Ma il picco massimo fu proprio nel 2005, almeno in Italia, con 86,3 miliardi di metri cubi. Da allora, il trend è cambiato, fino ad arrivare nel 2022 a 68,5 miliardi di metri cubi» racconta Pizzola.

Nel frattempo le infrastrutture dell’epoca, che avevano consentito un consumo così alto, sono state potenziate, mentre le previsioni di Snam – secondo cui già nel 2010 avremmo avuto oltre 100 miliardi di metri cubi di consumi – non si sono verificate.
I Comitati cittadini per l’ambiente di Sulmona fanno parte della Campagna nazionale Per il Clima Fuori dal Fossile e del Coordinamento No Hub del Gas. Inoltre, insieme ad altri Comitati di Umbria e Marche, costituiscono il Comitato interregionale NoTubo. La mobilitazione non è assolutamente di tipo nimby, not in my backyard. Gli abruzzesi fanno rete con tutti coloro che portano a trascinare l’Italia fuori dal pantano fossile. Lottano contro lo spreco di risorse pubbliche, per oltre 2 miliardi di euro. In questo percorso, hanno trovato in passato l’attenzione della Regione Abruzzo, che con la vecchia amministrazione guidata da Luciano D’Alfonso (Pd) «fece ben 7 delibere di giunta per negare l’intesa, sia sulla centrale che sul metanodotto a cui è funzionale», anche se ora Marco Marsilio (FdI) ha ribaltato la posizione, ma senza revocare le delibere. «Purtroppo non ha mantenuto ferma la posizione assunta da D’Alfonso e anche se le Conferenze di servizi che si tennero tra il 2015 e il 2017 si sono chiuse senza autorizzazione, perché di fronte al diniego tutto viene rimesso alla presidenza del Consiglio. È stato il governo Draghi ad autorizzare il metanodotto», a novembre 2022. I Comitati salutarono quell’atto descrivendolo come un atto di vigliaccheria contro la democrazione e le ragioni del territorio. Meloni ha formalizzarlo la decisione in un decreto autorizzativo. «Solo il Comune di Sulmona, con difficoltà, ha impugnato al Tar del Lazio l’autorizzazione del metanodotto. Non abbiamo notizia degli altri Comuni, a cui abbiamo scritto. Quelli coinvolti sono 28, in Abruzzo, nel Lazio, in Umbria e nelle Marche» spiega Pizzola. Che evidenzia un’incongruenza: dei 3 lotti funzionali del lunghissimo gasdotto, una tratta, quella tra Foligno, in Umbria, e Sestino, al confine tra Toscana e Romagna, non è ancora autorizzato. «Inoltre, se davero verranno messi in esercizio i due rigassificatori di Piombino e Ravenna, il nostro gasdotto non ha senso. L’esigenza di allargare la rete e di realizzare un hub del gas serve solo ad immaginare di rivenderlo». Se tutto va bene, però, il nuovo gasdotto che taglia le zone più sismiche dell’Appennino sarà pronto a fine 2027. A quel punto sarà operativo per tre anni, prima dell’addio al gas necessario per mitigare gli effetti del cambiamento climatico.