Nel 1984, anno del primo campo, contammo 3.198 rapaci e udimmo 1.187 spari. Nel 2022, 52.289 rapaci e zero spari». La storia dell’antibracconaggio sullo stretto di Messina è tutta riassunta in questa frase pronunciata da Anna Giordano, la storica ambientalista che da sempre organizza per il WWF Italia e l’Associazione Mediterranea per la Natura il campo antibracconaggio sullo stretto che poche settimane fa ha celebrato in un convegno a Messina i 40 anni di attività.

«Il 7 aprile del 1981 fu il giorno che cambiò la mia vita» ricorda Anna, vincitrice di numerosi riconoscimenti tra cui il prestigioso Premio Goldman. «Quel giorno io e un mio amico vedemmo i bracconieri uccidere davanti a noi 17 rapaci in poche ore. Gli adulti, tranne i nostri genitori, ci dicevano che era una battaglia persa, che nulla sarebbe cambiato, che non valeva la pena di rischiare la pelle per un falco. Quando mi bruciarono la macchina per intimidirmi, sentii dire da una persona: Se l’è cercata. A seconda del periodo eravamo drogati, radicali, estremisti. Ma la nostra era una battaglia di legalità». Allora le colline attorno a Messina erano costellate di bunker di cemento da cui decine di bracconieri, nell’indifferenza generale, compivano vere e proprie stragi. Migliaia di rapaci e cicogne venivano massacrati a fucilate, nonostante si trattasse di specie protette e la stagione della caccia fosse chiusa.

Un fenomeno barbaro che però veniva tollerato perché ricondotto ad una sorta di tradizione locale. Nell’aprile del 1984 iniziò così una delle avventure più affascinanti nella storia dell’attivismo e della protezione della natura in Italia. I primi tempi per i volontari si trattava di rischiare anche di persona perché i bracconieri erano armati e per nulla disponibili ad abbandonare la loro «tradizione». Minacce, inseguimenti e messaggi intimidatori erano all’ordine del giorno. Del resto in questo lembo di mare al centro del Mediterraneo confluiscono migliaia di uccelli migratori che dall’Africa vanno verso i luoghi di nidificazione in Europa. Lo stretto di Messina è la rotta migratoria primaverile più importante al mondo per quattro specie di rapaci: l’albanella pallida, il grillaio, il falco cuculo e il lodolaio, ma quest’area è attraversata da moltissime specie (ne sono state censite ben 328), alcune delle quali a rischio di estinzione. Una ricchezza documentata dalla Stazione Ornitologica Svizzera il cui radar dal 3 aprile al 13 maggio 2006 contò 4,3 milioni di uccelli in volo notturno. I migratori che passano sullo stretto provengono da ambienti incredibilmente ostili dove la mortalità è altissima: 2.700 km di deserto (Sahel e Sahara) e non meno di 140 km di mare (il canale di Sicilia). Arrivando in Sicilia compiono un vero e proprio miracolo ed è incredibile che dopo un viaggio tanto faticoso trovino persone così «piccole» da provare piacere nell’abbatterli. Oggi, dopo tanti anni dall’avvio dei campi antibracconaggio, il fenomeno è quasi scomparso sul versante siciliano e i fucili hanno lasciato il posto a binocoli e macchine fotografiche. Un risultato straordinario che è frutto del coraggio e della passione dei volontari che 40 anni fa hanno intrapreso una battaglia che sembrava impossibile. Ma non bisogna abbassare la guardia: nel 2016 vi fu una recrudescenza del bracconaggio con nuove uccisioni. Senza dimenticare, poi, che vi sono altri pericoli per gli uccelli: avvelenamenti, intossicazioni, distruzione di habitat, impatto contro le strutture aeree. E oggi, di nuovo, la minaccia del Ponte sullo Stretto.