Sulle tracce di Trotula de Ruggiero
Ultraoltre Nell'Xi secolo fu insignitadalla prestigiosa scuola medica di Salerno del titolo di medico e Magistra e fu la prima a scrivere un compendio di medicina femminile
Ultraoltre Nell'Xi secolo fu insignitadalla prestigiosa scuola medica di Salerno del titolo di medico e Magistra e fu la prima a scrivere un compendio di medicina femminile
via Trotula de Ruggiero La strada non la si vede. Dalla piazzetta appartata ai piedi della chiesa sconsacrata di S. Sofia non appare. Ma inoltrandoci in direzione della fontana, ecco che, cangiante e imprendibile come il volo di una farfalla, già affiora un bagliore della sua voce. Ho avuto sempre il desiderio di conoscere il fisico della donna … l’animo femminile, le sue angosce, le sue ansie, le sue necessità. È solo esplorando con cura che la si scorge: una minuscola scala, un breve tunnel, viuzza segreta sul fianco destro della visuale, come un marsupio nascosto tra i meandri meno battuti della città. Ssst. Non ditelo a nessuno: è un passaggio. La mia curiosità era metodica e quasi rituale. Sentirete il terreno inerpicarsi, lo spazio intorno a voi restringersi, le auto scomparire forzatamente dal vostro campo visivo. Pure imboccatelo senza timore, la sua voce vi sarà bussola e luce, quando nascerete dall’altra parte, mille anni indietro o forse nel tempo che verrà, tra le braccia della Salerno medievale più saggia e radiante, Salerno della Scuola Medica. Ma chi avrebbe ispirato la mia opera? Essa doveva parlare alle donne …Mostrare la mia maestria oltre l’ostetricia e la ginecologia. Si sale, mentre i colori connotanti dei limoni e degli ulivi sbucano dai terrazzi delle case. Se indossassimo abiti simili ai suoi, una semplice tunica con gamurra, allora sentiremmo un vento leggero insinuarsi lungo la schiena; e i capelli, che spesso portava liberi dal soggolo, un copricapo di allora, librarsi fluttuanti e aerei. Perché rifuggire il piacere? Il piacere di un bagno, di notte nel mare, senza i vestiti addosso. Il piacere dell’acqua sulla pelle, dell’aria che asciuga il corpo bagnato … Pensare che molti religiosi consigliavano la castità come salutare! So solo io quante religiose ho dovuto curare con impacchi di muschio e menta … per calmare le irritazioni date dal desiderio sessuale trattenuto. E continuiamo a salire, mentre si respira già il fuoricampo del mare la cui vista infinita sul golfo ci si aprirà dall’alto, in un silenzio sempre più rarefatto, e nell’approssimarsi del luogo più pulsante, il Giardino della Minerva. Grazie a me la città si ammantò di verde … e le donne, facevano a gara a venire a consultarmi per la coltivazione delle erbe mediche … Ormai Salerno era tutto un opificio di prodotti farmaceutici e cosmetici … Avrei fatto esperimenti e studi a capo di una schiera di discepole di ogni etnia e religione: nella mescolanza dei saperi si sarebbe manifestata la vera scienza. Ecco, come una “stella danzerina”, la sua voce continua a baluginare fino a noi, lungo la via che porta il suo nome. Questo è il mio regalo per te, in questi semi troverai la cura dei mali del tuo tempo. Piantali, curali e soprattutto ama i loro frutti come fossi io. Trotula de Ruggiero.
Magistra e speculum È da un Medioevo in gran parte deprivante per le donne, escluse (eccetto casi di religiose come Ildegarda o Eloisa), dal nutrimento del sapere, inglobate nel cul-de-sac di destini obbligati – chiostri e matrimoni come gabbie – gravate dal cielo oscuro di pseudofilosofiche pregiudiziali misogine, da Aristotele ai Padri della Chiesa, che prorompe la voce autorevole e cristallina di Trotula de Ruggiero, proto dottoressa d’occidente, attiva nell’XI secolo: colei che non solo compie regolari studi di medicina, ma la prima donna cui dalla Scuola Medica Salernitana è riconosciuta ufficialmente la dignità dello status di medico, nonché di quello prestigiosissimo di Magistra. A ciò si aggiunga la sua antesignana attitudine a sistematizzare e tramandare per iscritto le sue conoscenze cliniche, attraverso il primo compendio di medicina femminile scritto da una donna, di cui si abbia notizia. Anche autrice dunque, del De passionibus mulierum curandarum, un trattato di ginecologia e ostetricia (noto come Trotula maior), e del De ornatu mulierum, un trattato di cosmesi (Trotula minor). Ecco, introducendo il testo sulle malattie delle donne, di cui sottolinea la differente fisiologia, scrive di volerne minutamente illustrare e curare le infermità, prima durante e dopo il parto, palesando come “per pudore e per innata riservatezza non osino rivelare a un medico maschio le indisposizioni” legate agli organi della procreazione e dunque alle loro parti intime. È il punto. Di fatto una precorritrice rivoluzionaria messa a fuoco della specificità di genere, interrelata trama di natura e malattia, corpo e psiche, bisogni e desideri. Questo le donne chiedono, essere curate da una donna: specularità dolcezza, protezione del loro nucleo più privato ed empatia. E lei, Trotula, medichessa del futuro, le ascolta le cura e ne scrive: dal XII secolo il suo corpus si irradia così per l’Europa, mentre alla versione originale in latino si aggiungono le traduzioni in lingue volgari, inglese francese tedesca, italiana, ebraica e olandese. Ma come è possibile che questo avvenga? Come fa un raggio di energia così nitida a insinuarsi attraverso finestre pressoché oscurate?
Visioni di Hippocratica civitas “In quella scuola per la prima volta si svegliò quell’energia intellettuale che scosse l’occidente dal sonno, e inaugurò quel periodo di operosa attività che fu germe e principio della scienza moderna”. Così Salvatore De Renzi nella sua miliare ottocentesca Collectio salernitana. Ecco, per provare a rispondere alle domande di cui sopra è necessario innanzitutto immergersi nel contesto più luminoso della storia di Salerno e non solo, quello del fulgore della sua Scuola Medica. Felice convergere di matrici geografiche (secondo Erchemperto il nome della città deriverebbe dall’unione del mare “salus” e del fiume “Lirino”, ossia Irno, dalle rive adorne di gigli), e storico-economiche e culturali, la Scuola, anche nelle sue espressioni iniziali (VIII-IX sec.), meno codificate e meno supportate da testimonianze, si caratterizza infatti per l’accoglienza nei confronti delle tradizioni di sapere più disparate, per un sincretismo che la leggenda della sua fondazione brillantemente sembra restituirci. (Sarebbe stato l’incontro tra quattro viandanti, il greco Ponto, il latino Salerno, l’ebreo Elino e l’arabo Abdela, ritrovatisi a discutere di medicina nei pressi dell’acquedotto longobardo, a generarla). È questa tendenza trasversale e cosmopolita – sostenuta da un ricchissimo lavoro di traduzione di testi arabi – che, unita a una fondamentale impronta laica e a un clima di apertura propulsiva, le consente, sorprendentemente e naturalmente, di schiudere le sue porte alle donne. Al loro immane potenziale, al loro insostituibile apporto.
Shakespeare era in realtà quattro donne? Ovvero: Trotula, chi era costei? La scuola è ancora lontana da una strutturazione più formale, nonché da una sua legittimazione istituzionale, che giungerà nel 1231 grazie a Federico II e alle Costituzioni melfitane, quando Trotula vi viene accolta. “Nell’anno 1059 Rodolfo cognominato Mala-Corona venne in Utica ed ivi per lungo tempo abitò … ebbe altresì cognizioni tanto estese delle cose fisiche, che, nella città di Salerno, ove, fin dai tempi antichi si avevano le migliori scuole di medici, eccetto una sapiente matrona, non trovò alcun altro che avesse potuto stargli a paragone”. Così racconta Oderico Vitale a proposito del viaggio in Italia di Rodolfo Malacorona, studioso normanno reduce dalla Scuola di Chartres, a proposito del suo entrare a contatto con quella salernitana. 1059: attorno a questo polo temporale ruota la datazione della vita di Trotula de Ruggiero. Ancora, come riporta Erika Maderna nel suo Medichesse, La vocazione femminile alla cura, Chaucer, in The wife of Bath, uno dei Racconti cari a Pasolini, narra di lei. Mentre nel Dict de l’Herberie, monologo di un ciarlatano venditore di presunte erbe medicinali, del trovatore parigino Rutebeuf , attivo tra il 1215 e 1280, il protagonista ostenta di essere al servizio di una nobildonna salernitana di nome Trota, “la plus sage dame” al mondo.
Ciò nonostante, e malgrado la vasta risonanza delle sue opere, nonché la testimonianza storica relativa ad altre medichesse che opereranno nella Scuola (Abella, Rebecca Guarna, Mercuriade), l’esistenza di Trotula sarà nel tempo messa in dubbio, e a lungo si cercherà di svuotarla di consistenza e verità. Agli studi sopra citati di De Renzi, seguiranno quelli di Boggi, Cantalupo, Bertini, F. Benton e H. Green, pure ancora fino a noi si ipotizzerà che la sua sia solo una leggenda, o che il suo nome, inversamente dal “paradosso shakespeariano” di Woody Allen, adombri banalmente l’opera di un uomo. Perché? Forse la sua è una storia troppo luminosa per poter essere reale? Oppure invece si tratta di un’opera scandalosamente ante litteram, portatrice del potere immane di noi donne di trasformare noi stesse, il nostro tempo e quello a venire?
“Trotula, voci” Forse per questo, in cerca delle sue tracce luminescenti, in meno di due anni, accanto agli studi storici, nell’arco possibile tra la storia accertata e i suoi vuoti, sono apparsi tre romanzi a lei dedicati, come ponti extra-temporali tra sensibilità affini, elettive. I primi, due opere ponderose germinate da mani di scrittrici, l’una firmata da Paola Presciuttini (edizioni Meridiano Zero), l’altra da Dorotea Memoli (Marlin, Avagliano); infine, qualche mese fa, il romanzo breve di Vicente Barra (Printart edizioni). Tre timbri dunque, tra loro fortemente differenti, da millennio a millennio, si sono mossi alla volta di lei, provando a riabitarne la pelle, il cervello, il cuore. Ecco: sono germogliati della loro scrittura gli echi di Trotula, che ci hanno accompagnato in questo nostro ingresso al suo mondo, tra i vicoli più intimi di Salerno contemporanea.
Di donna in donna “Dalle mie ossa nascerà una donna sapientissima che … darà la salute a tutte le donne”. È la profezia riportata dalla studiosa di storia salernitana Dorotea Memoli nell’incipit del suo Io, Trotula, ad avvalorare la preziosità della genealogia femminile in cui la nascita di lei si trova inscritta: dalla visionarietà appena citata della bisnonna Teodora, maestra delle mulieres salernitanae (prime depositarie di una antica sapienza femminile), fino all’eredità greco-bizantina della nonna Rodelinda. Per non dire delle origini longobarde, per via materna, e normanne per quella paterna. In me pulsano tre cuori. Trotula, o piccola trota: secondo quell’amore per la fauna del mare che Memoli ascrive alle sue radici normanno-vichinghe?
“Trota, trotina trotella, porta il ragno sulla spalla”. Se ripenso ai primi anni della mia esistenza rivedo mani bianche pronte ad accogliere i miei primi passi … unghie listate di nero, ginocchia sbucciate, stelle altissime nella notte … Sgorga purissima, curiosa del mondo e impertinente, la meravigliosa narrazione di Trotula bambina dalle pagine di Paola Presciuttini (fine conoscitrice di donne, benessere e malattia, per anni si ritira in un vecchio mulino isolato, dando spazio a colei che, in apparenza da un mondo lontano, le chiede di parlare). Benché erede di una nobile famiglia salernitana longobarda giunta da Benevento al seguito del principe Arechi, la prima Trotula che ci si para davanti è dunque, a sorpresa, una bambinetta scalza, assetata di natura e scorribande, che parla un dialetto incomprensibile. Intorno a questo nucleo di risonanze, l’autrice ha poi immaginato una polifonia multiprospettica di narrazioni in prima persona, tutte ruotanti nell’universo Trotula, come riflessi di lei, e tutte sorrette da una ragion d’essere non comune. Tra queste, si staglia fin dai primordi quella di Gerardo, amletico frate benedettino suo primo mentore, nonché quella struggente della tata Iuzzella, analfabeta eppure prima maestra di rimedi erboristici: resterà zoppa in un incendio, che insieme alla morte per parto prima di una cuoca e poi della stessa madre di Trotula (cultrice di Demetra, Pomona e Luna), la proietterà bruscamente “fuori dal giardino dell’infanzia”.
Scene da un anomalo matrimonio medievale Mai sazia di conoscere, Trotula, ritratta da Presciuttini (nel cuore l’ardire intellettuale di Santa Caterina d’Alessandria, raffigurata nel grande affresco nella Cappella Palatina), osa osa osa. Sempre spostando in là i confini della propria odissea di donna. Il perché della vita monastica, il diaconato femminile, fino alle domande teologiche più scottanti: perché nella Genesi la donna nasce dall’uomo mentre nella vita reale è l’inverso? Fino a recarsi, mossa dalla rabbia più cocente, ad assistere alle lezioni della Scuola Medica in cerca di colui che non è riuscito a impedire la morte di sua madre. Sarà quella motivazione così viscerale a determinare, dopo la frequentazione delle mulieres del convento di San Giorgio, il suo incontro con i cenacoli dei medici salernitani: sarà quello il suo ingresso alla Scuola, nonché il luogo in cui conoscerà colui che diverrà suo marito. Da qui in poi, dal matrimonio di Trotula con il medico Giovanni Plateario il Vecchio, narrato da De Renzi, dai tre romanzi ramificano quadri differenti. Memoli, che immagina l’amore di Trotula rivolto platonicamente verso il cugino Edoardo il Confessore, re d’Inghilterra, la vede rassegnata nell’accettare un marito che non ama, come unica realistica politica via per diventare medico (per quanto accessibile, il percorso femminile nella Scuola era comunque sottoposto a restrizioni). Un vincolo che però col tempo, con la nascita di due figli, futuri medici anch’essi, e grazie allo scambio con la suocera, l’ostetrica Giovanna, si tramuterà in un quieto tenace sentimento. Anche Vicente Barra, nella vita medico di origine venezuelana, autore di una narrazione onirica sospesa tra l’oggi e il tempo di Trotula, non riesce a sentire la sua medichessa (alla cui scuola il suo alter ego, il ginecologo Lorenzo, rivelando lungimiranza e sensibilità, si ritroverà non solo in sogno), felice nell’unione col marito. Soltanto Paola Presciuttini le dona acutamente una storia matrimoniale profondissima, di inenarrabile risonanza erotico intellettuale, ma anche di dolorosissima conflittualità (per quanto più aperto anche di tanti uomini del tempo a venire, lui non riuscirà ad accettare completamente una moglie più sapiente), cui seguiranno deflagranti separazioni e dolci ricongiungimenti in tarda età.
L’alba della ginecologia Allora Giovanni e io restavamo soli ad aspettare che la notte si distendesse sul mare. Poi … ci rotolavamo sulla riva mischiando i baci col sapore dell’acqua salata. In quei momenti sentivo il mio corpo sano e felice, ogni centimetro della mia pelle vibrava, il sangue scorreva fluido nelle vene e tutti gli elementi erano temprati in un equilibrio perfetto. In questa sensuale avventura che per Trotula è l’amore, la vita, il contatto con la natura, da femminista oltre il tempo, parte da sé dal suo corpo, dall’esplorazione della propria sessualità come della propria anima. E, come racconta, lo fa in linea con quanto appreso presso la Scuola: l’unione più che compenetrata di filosofia e medicina, il precipitato del sapere dei filosofi naturalisti greci e lo scrigno delle conoscenze di Ippocrate, Galeno, ma anche di Platone e Aristotele, nonché l’apporto arabo filtrato dalle traduzioni di Costantino l’Africano. E poi la pregnanza assoluta del numero 4, come le stagioni, le età della vita, gli evangelisti, e come nella teoria tetradica degli elementi (aria acqua fuoco e terra), cui corrispondono 4 umori del corpo – sangue, flegma, bile gialla e bile nera – 4 modi di ritemprarsi e 4 temperamenti. E dove la malattia è espressione del Kaos, di un disequilibrio, il buon medico conosce la crucialità dell’ascolto e della diagnosi, di un approccio al male che sia dolce e indiretto, l’importanza dell’aprirsi a più di una tradizione. Questa deve essere la medicina delle donne, oltre l’asfissia dell’accademia e della cura delle sole nobili, tutt’uno con l’afflato di riforma pauperistica della Chiesa: trasferitasi in seguito alla separazione nel quartiere popolare della Giudecca, Trotula offre il suo sapere alle donne più povere e alle prostitute, sfida la guerra e le epidemie, cura e difende le religiose violentate, denuncia i chierici stupratori. Sono sempre più convinta che si debba andare nelle campagne, parlare con le levatrici, insegnar loro a lavarsi le mani. Igiene, dunque, e riposo e dieta moderata, come nella notissima massima del Regimen sanitatis, il Flos, appunto, sbocciato dalla Scuola. Che senso ha un sapere che non determina un benessere tangibile? E allora andare, oltre l’anatema scagliato sulle donne nella Genesi e dire durante una lezione che sì, udite udite, il dolore del parto può essere lenito, che il “mestruo”non è una condanna all’impurità, ma un modo precipuo del corpo femminile per equilibrare i suoi umori, che è naturale come splendidi “fiori”, e ancora come favorire il concepimento e come evitarlo, nota bene la sterilità può avere anche causa maschile, e come simulare la verginità per non morire schiacciate da quel “morbo culturale” che ci opprimerà fino all’Agnesuzza di Germi, e oltre.
E infine la bellezza. A partire dalla sua, inconfutabile. Non qualcosa di frivolo, no, bensì la trasparenza dell’anima, la cosmesi come specchio del Cosmo. Le donne salernitane non potranno più fare a meno di lei, del suo Orto Magno del cuore, delle sue erbe, dei suoi unguenti, per capelli, viso e denti (o per alleviare l’alitosi dei mariti). “Prendi rose secche, chiodi di garofano, noce moscata … Lascia che tutti questi … vengano mescolati con acqua di rose. Con quest’acqua vi spruzzi i capelli, così che avranno un profumo migliore”.
L’abitudine di tornare – Dopo uno struggente incontro con Alfano I, il dotto arcivescovo di Salerno, e dopo aver seguito l’ispirazione a scrivere, donatale da Sichelgaita, sposa di Roberto il Guiscardo e amica lungo il filo di una vita, Trotula sente giunto il momento di lasciare il suo amatissimo corpo e di librare altrove le sue ali. Adieu, au revoir, ecco risuona da quella strada ascendente e colma di grazia, che stiamo attraversando. Se Brigadoon si risvegliasse, ancora vedremmo il corteo di tre chilometri che quel giorno non poté fare a meno di aver cura di lei, di accompagnarla.
maria_grosso_dcl@yahoo.it
MICROGUIDA A SALERNO CHE AMO
Pronto? Anna, Ponte dei diavoli. Risponde così a una telefonata una delle lavoratrici del supermercato sotto casa. In quegli stessi giorni sto leggendo il romanzo di Dorotea Memoli che, tra l’altro, torna a quel crocevia di storia salernitana che mi capita di frequentare da qualche anno, il ponte (o archi) dei diavoli, sì, mantiene ancora quel nome. Si racconta fu Barliario, medico della Scuola, con fama di mago e di alchimista, a rivolgersi a Trotula perché intercedesse presso Sichelgaita e suo figlio Ruggero, onde far sì che iniziassero i cantieri di restauro dell’acquedotto di origine romana (lo stesso dei 4 viandanti), pur con non beneaccette maestranze saracene. Ecco, allora come oggi, forse erano loro i diavoli che la città temeva e che ritornano incredibilmente nel nome del luogo citato da Anna?
Salerno. In questo tempo ho cercato tracce bandoli, spiando dalla mia finestra il castello di Arechi, racchiuso tra nuvole e colline, o il mare che spesso mi riaccoglie in via Velia, o ancora gli archi dell’acquedotto, bellissimi e costretti in una città diversa, dove ancora accudiscono nidi i gabbiani. Sensi, direzioni, fossero presso il Museo virtuale della Scuola Medica, dove ancora è possibile “sentire” Trotula dissertare della natura delle donne, o lungo la passeggiata che la evoca fino al giardino della Minerva, un luogo dove lo spirito può aprirsi a orizzonti sottilmente profumati e densi di pace. Situato nella zona nel Medioevo chiamata Plaium montis, nel 1300, grazie al Maestro Matteo Silvatico, che vi istituì un Giardino dei semplici, fiorì come racconta Luciano Mauro, conservatore di questo spazio magnifico, come “antesignano di tutti i futuri orti botanici d’Europa”. Qui Silvatico svolgeva attività didattica, mostrando agli allievi della Scuola le piante con relativo nome e caratteristiche, l’esito delle sue ricerche raccolte nell’Opus pandectarum medicinae (1317), dove si elencano 487 vegetali, catalogati con nomi latini arabi e greci, con una media di 4 sinonimi per pianta. A questo segue la loro complessione, ossia la natura e infine le proprietà terapeutiche, determinate in relazione alla teoria degli umori. Ecco, in quel luogo, sottratto negli anni ‘90 a secoli di oblio, grazia ad accurati criteri di archeologia dei giardini, dalla scalea monumentale, è ancora possibile annusare l’essenza della città, scorgere in lontananza il profilo di Trotula. Mentre una bambina, forse sua allieva, gioca a lasciar andare una foglia di calendula lungo i preziosi canali d’acqua del giardino.
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