Sulle riaperture Iv vota con la destra. In senato il governo va sotto due volte
Decreto capienze Palazzo Chigi minimizza ma Pd, 5 Stelle e Leu chiedono a Renzi un chiarimento
Decreto capienze Palazzo Chigi minimizza ma Pd, 5 Stelle e Leu chiedono a Renzi un chiarimento
«Normali dinamiche parlamentari»: informalmente palazzo Chigi minimizza la raffica di incidenti che hanno squassato ieri la maggioranza a palazzo Madama durante la conversione del dl Capienze, quello che regola la possibilità di accedere a eventi sportivi e culturali durante la pandemia. In altre circostanze, con diverso contesto, probabilmente sarebbe anche l’interpretazione più corretta. Ma circostanze e contesto sono quel che sono e nel quadro dato la mattinata di ieri al Senato di «normale» non ha avuto proprio nulla.
La maggioranza si è spaccata tre volte, il governo è andato sotto due volte, Sull’emendamento che limita l’ampliamento del sistema d’accoglienza ai soli profughi afghani la destra di maggioranza e d’opposizione ha votato compatta ed è passata la linea più restrittiva. Il governo si era rimesso all’aula, non è uscito battuto. Invece sull’emendamento che permette ai bus turistici la piena capienza il governo, cambiando idea all’ultimo momento, aveva dato parere negativo. Lo firmavano Pd, Lega e Fi. Dopo il pollice verso del governo il Pd ha ritirato la firma, gli altri due partiti no e l’emendamento è passato, con il voto di Iv e FdI. Vota contro il governo di cui fa parte anche la ministra leghista Stefani. Aula impazzita, richiesta di sospensione dei lavori da parte dei 5S, appoggio di Casini alla proposta, respinta dal vicepresidente Calderoli.
Così a stretto giro arriva il secondo colpo. Emendamento stavolta di Iv, per innalzare a 68 anni l’età dei direttori delle aziende sanitarie e ospedaliere in pandemia. Il governo chiede di respingere. Il fronte Destra-Iv invece accoglie (anche col voto «per errore» dei sottosegretari Silieri, 5S, e Misiani, Pd) e la metà sconfitta della maggioranza esplode. «È il momento che centrodestra e Iv dicano se appoggiano ancora Draghi», s’infiamma la capogruppo Pd Malpezzi. «Così non si può andare avanti. Serve un chiarimento su come si deve far parte della maggioranza», rincara la collega di LeU De Petris. «Devono renderne conto», intima la neo capogruppo 5S Castellone.
Tre capigruppo di maggioranza che, con gli stessi toni furiosi ed esasperati, dichiarano che la situazione è al limite non sono una «normale dinamica» ma un segnale da allarme rosso acceso. Tutti puntano l’indice su Renzi, accusandolo di mirare a una nuova crisi e a una maggioranza col centrodestra. Rosato smentisce: «Non siamo mica timidi: se avessimo voluto dare un segnale lo avremmo fatto apertamente». Il pesante monito, secondo Iv, era casomai diretto al ministro per i Rapporti col Parlamento D’Incà, che aveva concordato il no all’emendamento sui bus turistici solo con Pd e 5S. È molto difficile credere che Iv non si rendesse conto di quale bomba stesse scagliando. È evidente che Renzi mira a scompaginare il quadro politico, o almeno a tenerlo sotto stress in attesa della sfida del Quirinale.
Ma ancor più delle trame di qualcuno è la situazione in sé ad apparire ogni giorno più sfilacciata, come indicano anche le reazioni un po’ sgangherate di Conte alla vicenda delle nomine Rai, o il braccio di ferro sui relatori della legge di bilancio, con il Pd che insiste sul nome di Errani, LeU, con l’esplicito intento di ridimensionare i 5S e anche di rispondere con le cattive alle critiche di Conte sulle nomine Rai.
Molto più di una semplice trama è questo sfaldamento che potrebbe condizionare l’elezione del capo dello Stato e il prosieguo della legislatura. Se infatti si diffondesse la convinzione, già ampia, che questa maggioranza è arrivata al capolinea, la candidatura Draghi non conoscerebbe più ostacoli. Anche perché in un parlamento simile alla Beirut della guerra civile libanese, quella di tutti contro tutti, una battaglia sul nome del prossimo presidente cospargerebbe l’emiciclo di morti e feriti, orizzonte livido che consiglierà forse ai leader di evitare lo scontro scegliendo di convergere su un candidato comune. Oltre a Mario Draghi altri in grado di raccogliere il consenso di tutti in campo non se ne vedono.
A quel punto, con Draghi presidente, si aprirebbe una nuova partita. Letta punterebbe su una maggioranza Ursula. Renzi su una maggioranza con la Lega ma cercando di spingerne fuori i 5S e di incunearsi nella spaccatura non sanata del Carroccio. Meloni presserebbe per votare subito. Il Pd, già oggi molto tentato dalle urne nel 2022, si troverebbe di fronte all’ennesima scelta lacerante. Forse il caos di ieri al Senato è solo un anticipo di quel che potrebbe succedere dopo gennaio.
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