Sulle navi dei migranti con Antonio Dambrosio
Antonio Dambrosio – foto di Massimo Nardi
Visioni

Sulle navi dei migranti con Antonio Dambrosio

Musica Si intitola "Racconti sonori e disonori" il nuovo album del compositore e batterista
Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 13 novembre 2022

Ulteriore esempio in cui l’opera, quand’è opera, intervento sul divenire e non cosa esornativa, si insinua per sua naturale inclinazione nelle ramificazioni della storia facendone fiorire i rampolli, emergere giunchiglie in preda a fotosintesi, o d’altra parte mostrando impietosamente sezioni cancerose, malerbe, ecc.; Racconti sonori e disonori del compositore e batterista Antonio Dambrosio, è un disco che esce mentre navi gremite di emigranti vagano nel Mediterraneo, o s’arenano nel limbo del porto, senza un approdo.

Il secondo brano del disco si intitola appunto Emigranti su testo di Edmondo De Amicis e voce di Connie Valentini, che ne mostra, ne canta l’estrema fatica, l’abumano dolore, la riduzione del corpo a spettro su cui aleggia un che di mortifero.

Disco sfaccettato, creolo (a cavallo dei generi, tra jazz, folk, sperimentazione), che esalta il meticciato, la commistione antropologica; disco impegnato come tutti i lavori di Dambrosio (nel libretto c’è anche un testo, prezioso, del poeta Vittorino Curci), in cui il suono sorge radiale.

PUÒ SUONARE armonioso come in Walk in progress che è un tripudio di jazz scoccato da rif di contrabbasso (Giorgio Vendola) in cui il motivo epico e la grana dell’arrangiamento echeggiano avventure alla Kamasi Washington: celebrazione della «macchina mondiale», in armonia, e poi in contrappunto, denuncia delle storture, degli orrori di questa macchina, della civiltà.

Ecco allora i «disonori» che assumono una forma greve, tragica, o al limite distonica, stridente, come nelle Carrette del mare: partitura zappiana in cui la chitarra di Nando Di Modugno e la batteria sono in costante sincope scandendo consonanze come «odor di piscio e di umori/ d’angoscia»; fino a inacidirsi in «nauseabondi effluvi», tumidi vomiti sul ponte macerato della nave; a contorcersi in delirio psichedelico perpretato per lo più dal sax di Roberto Ottaviano.

MA LA CHIUSA, Doljazz, è armonica, alba di fisarmonica, quella di Vince Abbracciante, che è una delle epifanie del disco, nel momento in cui porta con sé tutta una serie di risonanze, come paniche, che includono Paolo Conte.

E ancora reperti marini, conchiglie di pan di Spagna, come Madeleine o eco di Sirat Al Bunduqiyyah ricongiungendosi con l’Alì pasoliniano e con l’inizio in handpan, altra primizia del disco: suono remoto, come se nell’eco generata dal vibrare di quelle lamiere, ci sia tutta l’epica, strati su strati, di viandanti confusi a spire di vento. Ecco cos’è l’handpan suonato da Dambrosio: il suono del vento, in un che di salmastro.

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