Sulle Dolomiti, Leopardi e Gramsci a confronto intorno alla rivoluzione
Dissonanze e incroci «Dialoghi d’altura» di Piero Bevilacqua, pubblicato da Castelvecchi. Un dialogo immaginario tra il poeta filosofo dell’Ottocento e l’uomo politico novecentesco, morti a un secolo di distanza l’uno dall’altro, ma entrambi perseguitati e rimasti vittime della cieca repressione di regimi reazionari
Dissonanze e incroci «Dialoghi d’altura» di Piero Bevilacqua, pubblicato da Castelvecchi. Un dialogo immaginario tra il poeta filosofo dell’Ottocento e l’uomo politico novecentesco, morti a un secolo di distanza l’uno dall’altro, ma entrambi perseguitati e rimasti vittime della cieca repressione di regimi reazionari
Leopardi e Gramsci, un dialogo impossibile quello tra il poeta filosofo dell’Ottocento e l’uomo politico novecentesco, morti a un secolo di distanza l’uno dall’altro. Impossibile nella realtà, non nella finzione letteraria come mostra l’ultima suggestiva opera di Piero Bevilacqua (Dialoghi d’altura. Leopardi e Gramsci in una baita di montagna, Castelvecchi, pp. 76, euro 11) dove i due, fra i massimi pensatori italiani di tutti i tempi, si confrontano all’interno di una baita nella spettacolare cornice delle Dolomiti.
Cosa li accumuna? Perché metterli insieme? Entrambi hanno vissuto l’acuta sofferenza della malattia e conosciuto la tubercolosi. Sono morti prematuramente, Leopardi poco prima di compiere 39 anni, Gramsci quando non ne aveva che 46.
ENTRAMBI SONO STATI perseguitati e sono rimasti vittime della cieca repressione di regimi reazionari. Le Operette morali furono censurate dall’autorità pontificia e messe all’indice dallo stato borbonico dove il marchigiano pur si rifugiò negli ultimi anni della sua infelice esistenza mentre il sardo venne arrestato e imprigionato dallo stato fascista in quanto fondatore e segretario del Partito comunista d’Italia. Nondimeno la loro riflessione non potrebbe maggiormente divergere, il senso della storia che da questa promana non più radicalmente contrastare. «È il fondo immodificabile della natura, che dà la forma alla storia, come accade alla superficie del mare che torna piatta, dopo le tempeste» illustra risolutamente Leopardi a Gramsci che appare, probabilmente anche al di là delle stesse intenzioni dell’autore, sulla difensiva e che obietta: «Ma come fai a sottovalutare il peso che possono avere, che di fatto hanno avuto i comandanti nel determinare il benessere o l’infelicità degli individui?».
UN CONTRASTO insuperabile, una dissonanza irrimediabile che Bevilacqua vive con l’intensità di chi porta questo dissidio dentro di sé. Una questione dell’essere che si rifà alle origini del pensiero – già nel VI a.C. Parmenide di Elea ammoniva che, contrariamente a quanto appare, ogni cambiamento è in realtà illusorio mentre Eraclito di Efeso leggeva nell’unità dei contrari la legge dialettica del divenire – e che ha influenzato il dibattito filosofico sino ai nostri giorni con Nietzsche, Heidegger, Severino. Una questione, dunque, ancora moderna e che l’autore riporta all’attualità politica, contrapponendo la forza di chi vuol cambiare il corso delle cose alla rassegnazione di chi ha ceduto alle lusinghe della fine della storia.
Il dialogo impossibile si fa così, per mano dell’autore, via via più attuale e intenso. A Gramsci che oppone: «Ma ammetterai che una nuova guida, non ispirata dagli egoismi, dallo spirito di rapina dei pochi, ma che esprima gli interessi universali del genere umano, possa fare un diverso uso della potenza tecnologica, e anzi indirizzare la creazione di nuove forme di dominio sulla natura a vantaggio generale, per fini di pace. Non è la tecnica in sé a decidere, ma gli interessi materiali dei gruppi dominanti, resi possibili, anzi alimentati dalle disuguaglianze, dalla società divisa in classi» replica, a noi pare con più forza e convinzione, il marchigiano: «Tu credi che la natura si adatti alla storia e muti sotto la sua azione. È convinzione universale, ma è priva di prove e di fondamento. E invece è la storia che si adatta alla natura anche se alla osservazione generale appare il contrario, che sia l’apparecchio della storia ad abbattere e spianare i monumenti della natura».
È, PERTANTO, PROFETICA fede quella che consente a Bevilacqua, pur nella forma di estrema obiezione, di assegnare l’ultima parola al pensatore sardo: «Ma fino a quando durerà tanto dominio e tanta ubbidienza? Non può durare indefinitamente. E poi, caro Giacomo, il tuo quadro desolato non rappresenta tutti. Tu non tieni conto dei gruppi intellettuali rivoluzionari. Sono sempre queste, col loro incitamento e il loro indirizzo, le forze in grado di rovesciare il corso dominante. È accaduto sempre così e accadrà così anche in futuro».
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